La Consob contro Bankitalia. Rivalutazione esagerata. Nel mirino la stima di 5-7 miliardi per le quote. Dietro al conflitto l’ennesimo regalo alle banche

di Stefano Sansonetti

Dalle loro parti nessuno vuol sentir parlare di scontro. Al massimo di differenti valutazioni. Ma quando l’oggetto del contendere diventa il valore delle quote della Banca d’Italia, oggi guidata da Ignazio Visco, è inutile pretendere toni diplomatici. La realtà è che al vertice della Consob, la Commissione che vigila sulle società quotate in borsa, c’è chi pensa che le stime appena sfornate dalla banca centrale in vista della rivalutazione delle sue quote, il cui valore oggi è fissato in 156 mila euro, sia a dir poco esagerata. Quella forchetta che palazzo Koch, con l’ausilio degli esperti Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi, ha fissato tra i 5 e i 7,5 miliardi, per la Consob dovrebbe essere ridotta a non più di 1,7 miliardi di euro. Ma c’è di più, perché in realtà secondo i ragionamenti che si stanno sviluppando ai piani alti dell’Authority sulla borsa, a subentrare nel capitale di Bankitalia dovrebbe essere solo lo Stato, l’unico legittimato a disporre delle famose riserve di via Nazionale, comprese quelle auree il cui valore oggi si colloca intorno ai 76 miliardi di euro.

Il documento
Tutte queste considerazioni sono state messe nero su bianco in un documento firmato da Giovanni Siciliano, ex Bankitalia, oggi capo della divisione studi della Consob e uno dei principali collaboratori del presidente Giuseppe Vegas. Per carità, va subito detto che lo studio, apparso qualche giorno fa sul sito lavoce.info, è frutto delle opinioni personali di Siciliano e “non impegna in alcun modo l’istituzione di appartenenza”. Ma è un fatto indiscutibile che al vertice della Consob qualcuno sta mettendo seriamente in discussione quella rivalutazione delle quote di Bankitalia, ora fondamentalmente in mano alle banche (in primis Intesa e Unicredit), che avrebbe lo scopo di consentire agli stessi istituti di credito di rafforzare in un batter d’occhi il loro patrimonio e al Fisco di incassare un miliardo di euro.

I contenuti
Tanto per cominciare il documento mette nel mirino il cosiddetto dividend discount model, ovvero il criterio di valutazione delle quote di Bankitalia basato sulla stima del valore del flusso di dividendi futuri che sarebbero percepiti dai partecipanti al capitale di palazzo Koch in base all’attuale disciplina. Questione a dir poco tecnica, che ha portato gli esperti individuati da via Nazionale a tirar fuori un valore tra i 5 e i 7,5 miliardi. Il presupposto del documento redatto dal capo della divisione studi della Consob, invece, è che “i profitti di una banca centrale sono di proprietà della collettività perché ottenuti sfruttando in regime di monopolio un bene pubblico, ovvero il diritto di signoraggio (in pratica l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta, ndr)”. Per questo “gli utili delle banche centrali vengono distribuiti allo Stato”. Ne consegue che “tutti gli utili della Banca d’Italia derivano direttamente o indirettamente dallo sfruttamento di un bene pubblico. I soggetti titolari delle quote del capitale di Banca d’Italia non possono dunque vantare alcun diritto su quegli utili”. E quindi “non ha senso applicare il metodo del dividend discount model per valutare le quote”. Il documento ammette comunque che lo Stato possa indennizzare le banche tenendo conto del prezzo pagato per acquistare le quote, ovvero 156 mila euro. Ebbene, supponendo di collocare l’acquisto delle quote nel 1893, data di nascita della banca centrale, “il coefficiente Istat di rivalutazione monetaria dal 1893 al 2011 ci dice che il valore delle quote al 2011 è pari a 1,27 miliardi”. A una valutazione analoga si arriverebbe anche se si tenesse conto “dei dividendi che per statuto la Banca d’Italia riconosce ai detentori delle quote”. Calcolando la proiezione del dividendo atteso verrebbe fuori che “il valore delle quote è pari a 1,7 miliardi”. Insomma, cifra nettamente inferiore a quelle stimate dagli esperti. Per non parlare della conclusione dello studio. Visto che “solo lo Stato può decidere sulla destinazione di risorse prodotte con beni pubblici”, come quelle di Bankitalia, “è importante che lo Stato sia il solo azionista della banca d’Italia”.