La “dogessa” del Mose toglie il velo al sistema

di Fabio Tonacci per La Repubblica

Ci sentivamo  onnipotenti, sì…”. Dopo un’ora d’intervista Claudia Minutillo riassume così dieci anni della sua vita. O meglio, delle sue due vite: assistente di Giancarlo Galan prima (“uomo di grande intelligenza e amante della bella vita, mi ha fatto cacciare senza nemmeno dirmelo in faccia”), lanciatissima imprenditrice a fianco di Piergiorgio Baita, poi. Con quest’ultimo ha condiviso l’onta dell’arresto, nel febbraio del 2013. Indagata per false fatturazioni e concorso in corruzione. Cominciava così la tangentopoli della Laguna, e lei, da allora, si è chiusa nel silenzio. Fino ad oggi. “Non sono una “tangentara”, né la dark lady descritta dai giornali, concentrati solo su dettagli stupidi e privati. Sono stata trattata in modo sessista dai media, solo perché sono una donna”.

“Dark lady”, ma anche “Dogessa”, “vicepresidentessa”, “Morticia”: a Venezia le sono stati affibbiati diversi nomignoli. Aveva davvero tutto questo potere?
“Avevo potere solo perché Galan mi usava come filtro, dovevano tutti passare da me per avere un appuntamento. Fino al 2005 sono sempre stata accanto a lui, lavoravo 18 ore al giorno”.

Galan è accusato di aver “spremuto” Baita e il Consorzio Venezia Nuova per ottenere milioni di euro e la ristrutturazione della casa. Lei lo sapeva?
“Poco prima di andarmene mi ero accorta di un certo andazzo… ma non posso entrare nei dettagli, c’è un’indagine in corso”.

Come lo ha conosciuto?
“L’ho conosciuto nel 1994 in Forza Italia, credevo nel progetto di Berlusconi. Sono stata la sua segretaria fino al 2005 quando la moglie Sandra Persegato ha chiesto di allontanarmi. Non sopportava che fossi io a decidere l’agenda del marito “.

Eppure dopo poco si ritrova amministratrice delegata di Adria Infrastrutture (gruppo Mantovani, ndr ) e nel consiglio della Pedemontana Veneta. Come ha fatto?
“Fu Baita a cercarmi. La Mantovani mi pagava molto bene, perché mi occupavo di progetti importanti e perché avevo un’ottima rete di relazioni”.

Quando si è accorta del sistema delle sovraffatturazioni con cui a Baita rimediava denaro liquido da girare a politici e amministratori?
“Subito, era lui stesso a parlarmene. Giravano tanti nomi di beneficiari, ma di Ga-
lan e di Renato Chisso (ex assessore alle Infrastrutture della Regione Veneto, ndr ) ne ho la certezza”.

In un’intercettazione telefonica la sentiamo dire all’assessore Chisso “alza il culo e vieni qua”. Lo comandava a bacchetta?
“È una frase che è stata fraintesa. Tra noi c’era un rapporto di confidenza, avevo un modo molto diretto di parlare con lui”.

Lei ha parlato, durante un interrogatorio, di somme per Gianni Letta e Giulio Tremonti. Vuole spiegare meglio?
“Era Baita che mi faceva capire che c’erano soldi che finivano a qualcuno a Roma. Era tutto un sottinteso, però”.

Ai magistrati lei ha raccontato anche di una cena a casa di Niccolò Ghedini, nel 2004, in cui William Colombelli, della Bmc di San Marino, avrebbe parlato apertamente del meccanismo delle sovraffatturazioni per finanziare la politica. Ghedini la definisce una “millantatrice”.
“Non ho fotografie, né registrazioni. Ma sono convinta di quello che dico. Mi ricordo anche che Ghedini suggerì di non usare quella società per le cose ufficiali della Regione, perché avrebbe potuto richiamare
attenzione”.

È mai stata nella sede di San Marino della Bmc di Colombelli, “la cartiera”, come la definiscono i pm?
“Sì, aveva un ufficio piccolo, con due stanze, due segretarie e una fotocopiatrice. Con Adria Infrastrutture, di cui ero amministratrice, c’è stato uno scambio di tre o quattro fatture false per 1,8 milioni di euro, non tutte firmate da me. A volte Baita pressava per fare dei contratti urgenti, perché qualcuno doveva incontrarsi con personaggi importanti a Roma”.

E poi il 28 febbraio dell’anno scorso i finanzieri la portano in carcere.
“Una liberazione. Sapevamo da tempo di essere indagati, ce lo aveva detto Baita, spiegandoci che stava cercando di intervenire attraverso Mirco Voltazza (imprenditore padovano, ndr) “.

Perché non se ne è andata prima?
“Non ne ho avuto la forza, è stato uno sbaglio e lo ammetto. Siamo immersi in un sistema di corruttela troppo strutturato, troppo consolidato, nella pubblica amministrazione e nella magistratura, nella Corte dei conti e nei Tar, fino anche al Consiglio di Stato. Ovunque funziona così. Se vuoi i lavori pubblici, devi fare queste cose. Tant’è che i ricorsi delle gare per gli appalti le vinceva chi pagava di più. Eravamo convinti che quello fosse l’unico sistema possibile, che non si potesse fare diversamente. Solo quando ci hanno arrestato abbiamo capito la gravità delle nostre azioni”.

Quando dice noi, chi intende?
“Io, Baita, Chisso, Buson, Mazzacurati e gli altri…”.

Solo dopo l’arresto avete capito. Pare una giustificazione un po’ debole…
“Il sistema, le mazzette, le buste coi soldi, ci sembravano una cosa normale”.

Come fa a dire una cosa del genere? La Tangentopoli del 1992 se la ricorda?
“Tutti dicevano che da allora erano cambiati i metodi, ma la corruzione nei lavori pubblici era rimasta la stessa e nessuno avrebbe mai scardinato niente. Ci sentivamo un po’ onnipotenti, eravamo convinti di poter vincere tutte le commesse “.

Fino a che punto è arrivata la corruzione in questo settore?
“Anche a livello sovranazionale, nelle istituzioni europee…”.

Si sente vittima o carnefice del sistema corrotto di cui parla?
“Né vittima né carnefice, sono uno dei tanti ingranaggi. Ritengo di essere stata molto usata”.

Ora cosa fa?
“Mi dedico a un nuovo progetto che non ha niente a che vedere con i lavori pubblici. Sto collaborando con i magistrati per far emergere tutto il marcio. E ora voto Matteo Renzi, non l’avrei mai detto”. La terza vita di Claudia Minutillo.