La fine di Fini. E per la destra ora deve morire. Ma è un odio che fa comodo a tanti tra ingratitudine, incarichi saltati e l’alibi del fallimento

La fine di Fini. E per la destra ora deve morire. Ma è un odio che fa comodo a tanti tra ingratitudine, incarichi saltati e l’alibi del fallimento

Lei è di destra? “Di più, sono fascista”. Senta un po’: tra la Bodrini e Fini chi getterebbe dalla torre? “Ma non c’è il minimo dubbio: tutta la vita Fini”. Provate a cercare anche voi nella cerchia dei conoscenti qualche simpatizzante di destra. Più facile trovare qualcuno che salvi l’ex leader di An a sinistra che nella sua area politica. Su Fini si concentra un rancore senza pari. Mentre cresce la nostalgia per Mussolini, o il rispetto per Almirante, per il popolo della destra Fini è un traditore. Forse corrotto, se l’inchiesta sulla casa a Montecarlo arriverà a provarlo. Nel migliore dei casi un fesso, come lo stesso ex presidente della Camera si è definito in un disperato tentativo di venir fuori da una vicenda giudiziaria che lo sta stritolando. Quello però senza appello è il giudizio politico, che ha tante e distinte motivazioni. Persino gente che letteralmente sbavava per incontrarlo, o che gli deve politicamente moltissimo, adesso arriva a desiderarne quasi la morte. Il caso che colpisce più tra tutti è quello di Francesco Storace, che ieri su Facebook ha sfiorato l’istigazione al suicidio, consigliando al suo ex segretario di pensarci.

Storace può essere definito l’emblema di quei militanti di destra che non ha condiviso alcune svolte di Fini e ha consumato una rottura su motivazioni ideologiche, come lo strappo del viaggio in Israele. I vecchi fascisti spiegano il loro astio tornando alla legge sugli immigrati, quella norma che associa i nomi di Fini e Bossi ed è considerata il primo passo di un cedimento all’invasione dal Mediterraneo. Ma i nuovi simpatizzanti di destra, soprattutto sui social network, nonostante di quella stagione non sappiano quasi niente, hanno la stessa repulsione. Le classi dirigenti – diciamo così per pietà di Patria – della destra e del centrodestra sono però quelle delle feste con le teste di animali. E nonostante non comprino un giornale, sono facilmente orientate dai maggiori quotidiani di area, dal Giornale a Libero e persino il Tempo oggi diretto da quel Gian Marco Chiocci che fu l’autore dello scoop giornalistico della casa monegasca passata dal patrimonio di An a quello della coppia Fini-Tulliani. Giornali che sono in campagna di stampa contro l’ex alleato di Berlusconi da quando – si inizia nel 2009 – l’ultimo governo del Cavaliere inizia a scricchiolare e Fini indotto da Giorgio Napolitano inizia a intravedere per sé il futuro incarico a Palazzo Chigi. Le cose invece andranno come sappiamo, con Berlusconi che resiste fino alla rottura del Pdl e il famoso “che fai, mi cacci?”, la pistola puntata alle tempia dello Stato con lo spread, Mario Monti e il rigore che ci chiedeva l’Europa. In mezzo il fallimento dell’avventura di Futuro e Libertà, il partito zattera con cui Fini e i suoi fedelissimi mancarono per un soffio lo sbarramento alle successive elezioni politiche, restando fuori dal Parlamento.

Non solo ideali – È anche dovuta a quest’ultima stagione un’altra parte del rancore esploso tra i suoi sodali e colonnelli. A fedelissimi come Amedeo Labocetta o lo stesso segretario particolare Francesco Proietti Cosimi, che adesso sparano a zero, rimase in mano evidentemente meno di quello che ritenevano di essersi guadagnato o che gli era stato promesso. Diverso il dissidio con gran parte dello stato maggiore, a partire dai ministri di Alleanza nazionale. Nel 2005 fu uno scoop di Franco Bechis allora direttore del Tempo a intercettare una congiura nella caffettiera, il bar di Piazza di Pietra, a pochi passi da Montecitorio, contro il leader. Fini azzerò tutti gli incarichi, iniziando un percorso che portò in breve alla rottura con tutti i capo corrente di An, in gran parte poi confluiti in Fratelli d’Italia o in Forza Italia. Tra chi scelse quest’ultima via d’uscita (anzi, d’entrata in Parlamento) anche Maurizio Gasparri, poi scivolato anche lui in una storia di polizze del partito di cui era beneficiario a sua insaputa. Più leale Alemanno, fieramente all’opposizione di Fini, senza diventarne però un nemico.