La guerra delle liste spacca il Pd: strappo della minoranza che non le vota. Renzi: “Esperienza devastante”. Ecco chi corre

Una nottata ad altissima tensione, con le candidature che alla fine passano quando è quasi l’alba senza il voto della minoranza che fa capo ad Andrea Orlando e Michele Emiliano. Per Matteo Renzi la presentazione delle liste del Pd è stata “un’esperienza devastante sotto il profilo umano”, e i quattro spostamenti di giornata ne sono l’emblema.

Tocca al fedelissimo del segretario, Lorenzo Guerini, svelare le carte, scandendo i nomi regione per regione, collegio per collegio, di Camera e Senato. L’ex ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, sarà candidata nel collegio uninominale di Bolzano alla Camera mentre Beatrice Lorenzin, leader di Civica Popolare, sarà candidata sempre a Montecitorio nel collegio di Modena e Valeria Fedeli al Senato nel collegio di Pisa. E ancora: Paolo Gentiloni a Roma Centro (Camera), Marianna Madia ai Parioli, Marco Minniti a Pesaro, Pier Carlo Padoan a Siena (Camera), Luca Lotti a Empoli (Camera), Graziano Delrio nella “sua” Reggio Emilia (Camera), Dario Franceschini a Ferrara. Fra i nomi nuovi spiccano quelli di Lucia Annibali (Parma) e del portavoce di Gentiloni e prima ancora di Renzi, Filippo Sensi.

Riccardo Nencini (Insieme) correrà nel difficile collegio di Arezzo, Benedetto Della Vedova (+Europa) a Prato. Gianni Cuperlo a Sassuolo, Gianni Pittella a Potenza. Saranno candidati Beppe Fioroni, Cesare Damiano, Barbara Pollastrini, che in un primo momento erano stati esclusi. Resta fuori il coordinatore di Dem Andrea Martella. È il lista anche l’ex presidente della Basilicata, Vito De Filippo. Torna in Parlamento il costituzionalista Stefano Ceccanti mentre in Campania sarà candidato Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco, ma anche Franco Alfieri, ex sindaco di Agropoli che era finito nella bufera per aver suggerito di offrire “fritture” per la campagna elettorale per il referendum. Tra gli esclusi, Giusi Nicolini, ex sindaco di Lampedusa ed emblema dell’accoglienza ai migranti, e Sergio Lo Giudice, già presidente nazionale dell’Arcigay.

Orlando però non ci sta. “Non c’è stato nessun braccio di ferro semplicemente perché le minoranze conoscono in questo momento le liste che sono proposte a questa direzione”, ha attaccato il ministro della Giustizia nella notte. Il tempo passato invano, è il messaggio, “non è in alcun modo ascrivibile a un nostro ruolo ostruzionistico”. Di più: “Io mi sono occupato oggi di liste perché sono stato convocato dal compagno Fassino e mi è stato chiesto di individuare tra le priorità alcune ulteriori priorità – ha sottolineato -. Conosciamo per la prima volta nomi su cui potevamo riflettere. Penso sia si sia persa l’occasione di fare un lavoro insieme. Oggi non siamo nelle condizioni di pronunciarci sui nomi che ci sono stati proposti”. Il Guardasigilli chiede un’ora di tempo per esaminare le liste, ma la proposta viene bocciata. Così i suoi lasciano il Nazareno.

Renzi incassa e guarda avanti. “Se noi recuperiamo due o tre punti ci sono decine di collegi che diventano da contendibili a vinti”, ha detto il leader dem. “Credo che il lavoro che abbiamo fatto è un lavoro che ha richiesto di metterci il cuore – ha aggiunto – d’altra parte però l’altra squadra è forte, ma meno forti di noi”.