La Jihad d’Italia

Di Massimiliano Stella

La Jihad è anche di casa in Italia. Ormai è caccia aperta agli occidentali che collaborano con l’Isis, il gruppo terrorististico che punta al Califfato. E anche nella Penisola potrebbero nascere e svilupparsi cellule terroristiche. Del resto il budget dell’Isis è miliardario. Si parla di 2 miliardi di dollari. Soldi che arrivano dagli stati del Golfo, dal petrolio (2-3 milioni di dollari al giorno si incassano come proventi dai pozzi). I sospetti principali vanno sull’emirato del Qatar che finanzierebbe il Califfato. Un Paese che finanzia tutto, dalle squadre di calcio alla primavera araba. Molti contributi all’Isis arrivano dai privati, soprattutto dagli sceicchi dell’Arabia Saudita, dal web, dal contrabbando dei tesori archeologici. L’Isis in pratica è uno stato islamico che controlla la zona che va da Aleppo a Damasco e parte dell’Iraq, che sta trovando appoggi anche con Turchia e Iran. Tra 10 e 20 mila è stimato il numero dei combattenti del Califfato (si addestrano anche bambini di 10 anni).

Indagati in Veneto
Cinque persone residenti in Veneto risultano indagate nell’ambito di un’inchiesta per terrorismo aperta dalla Procura distrettuale di Venezia e condotta dai Ros. Si tratterebbe – scrive il Corriere del Veneto – di elementi sospettati di essere vicini alle organizzazioni che si battono per la Jihad islamica.
Sarebbero legate alla vicenda di Ismar Mesinovic, il bosniaco residente nel bellunese morto in Siria all’inizio dell’anno in combattimento dopo aver aderito alla Jihad, le indagini che hanno portato all’iscrizione di cinque uomini nel registro degli indagati in Veneto. Secondo quanto si è appreso, sarebbero tutti originari dei Balcani.
L’ipotesi investigativa è che almeno alcuni di questi cinque abbiano svolto attività di reclutamento di persone – immigrati, ma non solo – interessate a raggiungere la Siria o l’Iraq, per prendere parte alla guerra santa condotta dalle formazioni estremiste. Dopo l’allerta terrorismo lanciata nei giorni scorsi dal Ministero dell’Interno, si era intensificata in Veneto l’attività di intelligence sui centri islamici e sui soggetti considerati pericolosamente vicini al fondamentalismo.

Sono molti i sospettati
Il Ros e la Digos tengono sotto stretto controllo una trentina di sospetti. Uomini considerati troppo vicini al fondamentalismo islamico. In particolare l’indagine che sta impegnando la procura distrettuale di Venezia, competente per fatti di terrorismo, ipotizza il reato 270bis, l’articolo del codice penale che punisce le associazioni eversive. Le cinque persone iscritte nel registro degli indagati e finite nel mirino del Reparto operativo speciale (Ros) di Padova, sono stranieri, quasi tutti residenti in Veneto. Tra questi figurano alcuni presunti reclutatori, fanatici con l’obiettivo di scovare aspiranti jihadisti da arruolare e inviare nei teatri di guerra, a cominciare dalla Siria. E in almeno un caso ci sarebbero riusciti.

Centri di reclutamento
Dopo una serie di tappe intermedie, che servono a far perdere le loro tracce, i futuri jihadisti finiscono nei campi di addestramento, ultimo approdo prima di imbracciare le armi e combattere per la costituzione di uno Stato islamico. Secondo i servizi segreti sono cinquanta gli italiani – in genere di origini arabe, ma anche slavi e africani – che avrebbero sposato la causa della Jihad e che ora combatterebbero in Siria. Si contano sulle dita di una mano, invece, i veneti che sarebbero direttamente collegati alla Guerra Santa, per aver fatto parte di milizie o per aver dato la propria disponibilità a partire. Uno dei centri di reclutamento indicato dall’intelligence è Padova.

Zaia e le mele marce
Il Governatore del Veneto Luca Zaia rileva che in Veneto “abbiamo 600mila immigrati su 5 milioni di abitanti. Ed è inevitabile che nei grandi numeri possano esserci delle mele marce”. “Sono figli di profughi, ma il cordone ombelicale si è mantenuto”.