La Libia è un inferno di fuoco

Di Nicola Tarantino

La Libia rimane sempre più sola. Da una parte con i suoi depositi di carburante in fiamme e dall’altra con le fazioni fuori controllo che si combattono dalla periferia di Tripoli fino a Bengasi. Così continua l’esodo di diplomatici e occidentali in genere, e l’impotenza, a partire dal traballante governo di Tripoli, è totale. Ieri è stata la volta di francesi, canadesi, serbi, portoghesi, bulgari. Tutti i cittadini d’Oltralpe attualmente in Libia “sono stati invitati a lasciare il Paese ed entrare al più presto in contatto con l’ambasciata a Tripoli a tale scopo”, ha ribadito il portavoce del ministero degli Esteri francese. Invece il governo canadese ha richiamato il personale dell’ambasciata e ha chiesto ai suoi concittadini di andar via immediatamente dalla Libia. Lo stesso ha fatto il governo di Belgrado, la cui ambasciata resta aperta, ma a ranghi ridotti. Battenti completamente chiusi per la sede diplomatica portoghese come pure quella bulgara. Tutte le cancellerie fanno riferimento alla situazione imprevedibile della sicurezza e ai combattimenti per il controllo dell’aeroporto di Tripoli e nel resto del Paese. L’ambasciata d’Italia, ribadisce invece la Farnesina, continua ad assicurare il massimo impegno a tutela della collettività e degli interessi italiani in Libia.

La Mogherini
Sulla situazione è di nuovo intervenuto il ministro degli Esteri Federica Mogherini, per la quale ci sono due piani, interno e internazionale. Da una parte è necessario “ricondurre gli sforzi” nel quadro Onu, unico “riferimento internazionale che garantisce efficacia e imparzialità”, dall’altra il “passaggio fondamentale” è l’entrata in funzione del nuovo parlamento libico per consentire di sostituire al piano del confronto militare tra fazioni quello del dialogo politico. Intanto la Farnesina ha smentito di aver deciso l’invio di 7 Canadair per contrastare gli incendi divampati in depositi di petrolio e gas colpiti da razzi nei combattimenti per l’aeroporto di Tripoli. L’ambasciatore Giuseppe Buccino, a differenza dei colleghi occidentali resiste. “Il lavoro che noi facciamo, decidendo con coraggio di rimanere con la nostra presenza diplomatica”