Procura distratta, salvi gli ex dirigenti Telecom

di Clemente Pistilli

Non rischiano più di subire un processo. Nessuna possibile condanna all’orizzonte né un risarcimento del danno. Un ritardo della Procura di Roma nel presentare ricorso ha fatto finire nel cestino l’inchiesta a carico di tre ex manager di Telecom Italia, accusati di aver gonfiato il numero di clienti, ostacolando l’Autorità di vigilanza, per far crescere fittiziamente il valore della società. Guai giudiziari finiti per l’ex amministratore delegato del colosso delle telecomunicazioni, Riccardo Ruggiero, figlio dell’ex ministro degli esteri Renato e alla guida della spa per sei anni, dal 2001 al 2007, per l’ex direttore operativo di Tim Italia, Massimo Castelli, e per l’ex responsabile del marketing Tim, già numero uno di Tim Brazil, Luca Luciani.

LE INDAGINI
I tre erano incappati in un’indagine della Procura di Milano, seguita dall’aggiunto Alfredo Robledo, nota alle cronache come “Sim Fantasma”. Gli inquirenti avevano sostenuto che, ricorrendo a un artificio tecnico-contabile, i manager avevano tenuto in vita 5,3 milioni di schede sim – le schede per i cellulari – tutte di immediata o prossima scadenza, e che avrebbero dovuto invece disattivare. Le sim erano state lasciate attive con ricariche da un centesimo, senza che venissero utilizzate dagli utenti a cui erano intestate. In tal modo, secondo gli inquirenti milanesi, i vertici della Telecom avevano ostacolato l’attività dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, comunicando dati “dolosamente alterati”, in quanto con le schede lasciate attive gonfiavano fittiziamente il volume dei clienti dell’azienda e le sue quote di mercato. Un colosso con i piedi poggiati su clienti che in realtà non erano altro che “fantasmi”. Un’inchiesta partita da uno studio sulla spa commissionato dal CdA, quando la presidenza era stata assunta da Franco Bernabè, e compiuto dalla società di consulenza Deloitte. Ruggiero, Castelli e Luciani erano così finiti a giudizio e la Telecom si era costituita parte civile, decisa a chiedere un risarcimento del danno.

IMPUNITI
Avviato il processo, per un problema di competenza territoriale il procedimento era però stato trasferito a Roma, dove il pm Giancarlo Cirielli, in linea con le conclusioni a cui erano giunti i suoi colleghi di Milano, aveva nuovamente chiesto di rinviare i manager a giudizio. Il 27 novembre scorso il colpo di scena. Accogliendo la tesi della difesa, che la società poteva scegliere se disattivare o meno schede che non venivano ricaricate da tempo, il giudice Carmine Castaldo ha prosciolto gli imputati, perché il fatto non sussiste. Dunque, secondo il magistrato, nessun reato era stato commesso dagli ex vertici Telecom. Un grave errore secondo la Procura di Roma, che ha deciso di fare ricorso, specificando che il provvedimento del giudice Castaldo sarebbe stato il frutto di “erronea applicazione della legge penale”, con una motivazione caratterizzata da “manifesta illogicità”. A questo punto, però, approdata la vicenda in Cassazione, gli ermellini hanno appurato che in piazzale Clodio avevano perso troppo tempo prima di fare ricorso e quando lo avevano fatto i termini erano già scaduti. La Suprema Corte non ha così potuto far altro che dichiarare quell’impugnazione inammissibile e per i tre ex manager il rischio di un processo è definitivamente scongiurato.