La ruspa di Berlusconi contro Salvini e Meloni. L’incredibile caso Roma che finisce per mettere le ali al Pd Giachetti

La mossa di Berlusconi a Roma spariglia le carte per il Campidoglio. E usa la ruspa Marchini contro Salvini. Ma Renzi spera nella vittoria di Giachetti.

Le idee, beh quelle se ne sono andate da tempo. E, forse, non torneranno mai.  Per non dire delle ideologie,  quelle per le quali ci si batteva in piazza e si poteva anche morire. Rimosse in fretta da una nuova  classe dirigente desiderosa di viaggiare solo in prima e con un pratico bagaglio a mano.  I vecchi bagagli culturali di una volta sono archeologia. Poche teorie, maledette e subito pronte all’uso. Dunque, la fine della fine, ovvero la certificazione della morte del centrodestra come riferimento politico dopo una lunga e angosciosa agonia, non è affatto una novità. Anzi, arriva sin troppo  tardi rispetto alle previsioni fatte da analisti e addetti ai lavori. Perché quel centrodestra che abbiamo conosciuto sino a ieri, altro non era che il prodotto migliore partorito dalla mente criminale (politicamente parlando) di quel genio chiamato Cavaliere, al secolo Silvio Berlusconi. Un’invenzione paragonabile alla Democrazia cristiana, tanto che per qualcuno ne è stata la prosecuzione senza scudo crociato.  E trattandosi di un prodotto, di una sintesi di laboratorio,  se non addirittura di una formula alchemica, sparito l’inventore, senza lasciare a nessuno la formula segreta, quel centrodestra poteva proseguire la sua corsa? La risposta è no. Per la semplice ragione che Berlusconi teneva i fili dei vari Fini, Bossi e altri ancora, i quali muovevano solo le braccia. Niente di più, niente di meno. Dunque la fine della fine del centrodestra romano, ammesso che ci sia mai stato davvero anche quando l’apparenza sembrava sostanza, è solo la triste appendice ad un finale già scritto altrove.

Finale già scritto
Magari in quel Nazareno dove la politica ha perso per sempre l’età dell’innocenza. E della coerenza con la storia. La variante è che Berlusconi ha recitato la sua parte, mentre Meloni e Salvini, sul palcoscenico romano, hanno incarnato il ruolo dei personaggi in cerca d’autore. Alla fine sono rimasti sono con le maschere della commedia dell’arte, senza copione e senza parte.  Chi vince, ovviamente, è solo è soltanto lui: Matteo Renzi. LoRenzi il Magnifico ha sempre considerato idee e ideologie frattaglie del secolo scorso, strumenti arrugginiti  da consegnare ai musei.
Il premier, ora, potrà investire sulla Capitale, nella speranza che Roberto Giachetti vada al ballottaggio con la grillina Raggi, chiudendo, al contempo, l’accordo del secondo con Denis Verdini. In pratica la fine della fine,  con Berlusconi che molla la Meloni e si fidanza con Marchini, manda in scena una sorta di enorme compromesso storico rivisto e aggiornato, dove l’opposizione non sarà più tale,  ma si avvia a diventare una sorta di quinta zampa di un tavolo  moderno.

Centri di gravità
Quattro gambe fisse, come da tradizione, e una mobile, semovente. Da usare nei casi di necessità. Non è finita un’epoca e nemmeno una stagione. E’ finito un millennio. E’ un po’ come se avessimo lasciato l’era del Mesozoico e fossimo entrati nel Cenozoico. Nulla sarà più uguale a prima, sia al centro che in periferia.  E dato che per centro s’intende i rapporti su scala nazionale, è ovvio che Salvini sarà costretto a spostare ulteriormente verso l’area più dura l’asse della Lega, rischiando una lepenizzazione in scala, mentre la Meloni sarà costretta a inseguire per non restare nel cono d’ombra del ristretto ambito del raccordo anulare di Roma. Quel che resta di Forza Italia, invece, già proteso a disegnare il futuro post Berlusconi dovrà trovare un nuovo centro di gravità, attorno al quale muovere i propri voti, ben sapendo che i verdiniani rappresentato un forte polo d’attrazione. Non ci sono più le idee, figuriamoci le ideologie. Ci sono solo le convenienze.