L’arma spuntata delle “white list”

di Valeria Di Corrado

Stare su una lista bianca non vuol dire avere la coscienza immacolata. Fra dieci giorni entra in vigore il decreto sulle “white list”. Tutte le prefetture italiane saranno obbligate a istituire un elenco delle imprese non soggette a infiltrazioni mafiose. Lo strumento è stato introdotto dalla legge anticorruzione approvata il 6 novembre 2012, che ha demandato al presidente del Consiglio dei Ministri il compito di definire le modalità per l’aggiornamento delle liste di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori con la “fedina antimafia” pulita. Il testo del decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 18 aprile e diventerà vincolante per gli Uffici territoriali del Governo a partire dal 18 maggio. Ma l’esempio dell’Expo 2015 non è rincuorante sull’efficacia del nuovo provvedimento legislativo.

L’esempio milanese
La Prefettura di Milano, sollecitata dalla portata di un evento mastodontico come l’Esposizione Universale, è stata una delle prime in Italia a dotarsi dello strumento delle “white list”, prima che la legge anticorruzione lo rendesse obbligatorio. Questo però non è servito a garantire la necessaria trasparenza sulle aziende che si sono aggiudicate appalti pubblici da milioni di euro. Le due più grandi cordate che lavorano nei cantieri dell’Expo hanno dimostrato di avere al proprio interno dei soci con le carte non in regola. Nello specifico si tratta delle associazioni temporanee di imprese che si occupano di bonificare il terreno da elettrodotti e fognature (affidato alla Cooperativa muratori e cementisti di Ravenna), per poi ricoprirlo della piastra sulla quale sorgeranno gli stand (affidato al gruppo Mantovani). Nel primo caso è emerso che la Cooperativa Pegaso, inserita nell’Ati di Cmc, non aveva l’autorizzazione della Prefettura di Milano per svolgere il servizio di guardiania armata del terreno né la capacità finanziaria per pagare i suoi dipendenti. Nel secondo caso, quello dell’Ati guidata dal gruppo Mantovano (lo stesso del Mosè di Venezia), la Prefettura ha estromesso la Fondazione Speciali spa, una società di geo-ingegneria che stava ristrutturando la viabilità per congiungere la stazione della metro di Molino Dorino con l’Autostrada del laghi. A scoperchiare il caso è stata la società stessa: dopo aver ottenuto l’appalto all’Expo di Milano ha chiesto di iscriversi alla “white list”. Gli uffici, prima di concedergli il visto, si sono accorti però che non possedeva i requisiti indispensabili per la certificazione antimafia.

Il protocollo di legalità
Eppure il 13 febbraio 2012 in Prefettura, alla presenza del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri e dell’Amministratore delegato di Expo Milano 2015 Spa, Giuseppe Sala, hanno firmato un Protocollo di legalità per il contrasto ai fenomeni di infiltrazione criminale negli appalti, in vista di Expo 2015. La società si era impegnata a controllare contratti e sub-contratti delle imprese coinvolte, i flussi di manodopera e il rispetto della normativa in tema di tracciabilità dei flussi finanziari. Particolare attenzione era stata riservata alle aziende che si occupano dello smaltimento dei rifiuti, del trasporto di bitume o calcestruzzo, dei servizi di guardiania, logistica, supporto, vitto e alloggio del personale. A firmare quel protocollo c’era anche Antonio Lareno Faccini, delegato sindacale per la Cgil: “Servirebbe un meccanismo di selezione con criteri minimi di impresa, come la solidità finanziaria. La normativa attuale è uno strumento incompleto. Essere iscritti nelle “white list” non significa essere un’azienda onorabile e specchiata. Si esclude la criminalità di origine mafiosa ma non la “normale” criminalità economica”.

Pro e contro
Oltre ad avere le armi spuntate, la norma contiene anche aspetti controproducenti. Se da un lato il decreto che rende obbligatori gli elenchi delle ditte virtuose riuscirà, rispetto a quanto avveniva prima, a centralizzare le informazioni in possesso delle diverse prefetture e dei tribunali italiani; dall’altro lato porterà ad allungare le procedure di controllo e certificazione, rendendole farraginose. Al momento le aziende iscritte nella “white list” della Prefettura di Milano sono 113, ma altre 200 sono in lista di attesa per ottenere il lascia-passare. “Un’azienda rischia di fare in tempo a finire il lavoro per il quale ha vinto l’appalto prima che ci si accorga che non ha le carte in regola”, spiega sarcastico il sindacalista della Cgil Antonio Lareno Faccini.