L’assedio sul Jobs Act. Dalla minoranza del Pd ai 5 Stelle, attacco al fiore all’occhiello del renzismo

Un accerchiamento sulla riforma più cara a Matteo Renzi: il Jobs Act. La sconfitta al referendum del 4 dicembre ha aperto un altro fronte.

Un accerchiamento sulla riforma più cara a Matteo Renzi: il Jobs Act. La sconfitta al referendum del 4 dicembre ha aperto un altro fronte: quello della battaglia alle leggi volute con forza dall’ex presidente del Consiglio. La sorte dell’Italicum è già segnata, in favore di un ritorno al proporzionale. Ma a breve rischia di crollare anche la nuova regolamentazione del mercato del lavoro.

Fuoco amico – L’attacco è partito, come spesso capita, in casa, nello stesso Pd. “Altro  che congelare i referendum sindacali! Il Pd affronti le questioni e il nuovo governo cambi il Jobs Act. Poletti ha fatto una dichiarazione insensata”, ha incalzato l’ex leader della Cgil, Guglielmo Epifani, ora sostenitore della minoranza capeggiata da Roberto Speranza.  Anche un’altra deputata dem, Roberta Agostini, ha invitato a un ritocco della legge: “Dobbiamo usare il tempo che abbiamo in questa legislatura per rimettere le mani su scelte sbagliate fatte negli ultimi anni, come il Jobs Act e la Buona Scuola”. Ma un passo indietro del genere farebbe venire meno un altro caposaldo, sponsorizzato da tutti i poteri forti, internazionali, Unione europea in testa,e nazionali, con Confindustria in prima linea. Una cauta apertura è maturata pure nell’area della maggioranza renziana. “Dobbiamo capire se si può aprire un’interlocuzione col sindacato, correggere alcuni elementi che non convincono e sulla base di questo valutare se la via del referendum è l’unica possibile”, ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, uno dei leader dei Giovani Turchi, principali alleati di Renzi nel Pd.

Stelle di Jobs Act – L’assist della sinistra Pd è arrivato comodo al Movimento 5 Stelle. “Il Pd ha piazzato leggi che sono prodotti tossici come il Jobs act. È ignobile ora come usano il referendum in questo modo. Hanno paura dei cittadini, per quello proponiamo di andare al voto”, ha detto Alessandro Di Battista. Un affondo che fa il paio con le parole di Roberto Fico, secondo cui non serve il referendum per cancellare la riforma: bastano le elezioni anticipate (con ipotetica vittoria dei pentastellati). Toni simili provengono da Sinistra italiana, che sulla cancellazione della legge punta a fare una grande campagna politica. “Mister Voucher, il suo capitano Renzi e compagnia varia, temono di prendere un’altra sonora sberla dai cittadini italiani, che potrebbero bocciare senza appello le mirabolanti riforme fatte sul mercato del lavoro, che grazie a loro e’ sempre piu’ un mercato, senza il lavoro”, ha affermato il deputato Nicola Fratoianni. Così per il segretario del Pd rischia di aprirsi un’altra stagione referendaria nefasta.