Con il cerino in mano

Di Lapo Mazzei

Attenti alle parole, prego. “Berlusconi applica alla politica la logica aziendale. Non c’è l’alleato o l’amico: ma lo yes-man. Tutti questi ragazzi alla fine in parlamento devono fare le cose che gli ordina lui. Non hanno alcuna autonomia e non li invidio. La filosofia è: o suoni questo spartito oppure te ne vai”. Come hanno fatto con Fini. A elargire questa perla di saggezza, contenuta in una intervista concessa al quotidiano “La Repubblica” è stato Pier Ferdinando Casini nell’aprile del 2011. All’acme della sua carriera politica il leader – di quel che resta – dell’Udc tratteggiava un ritratto del Cavaliere talmente aderente alla realtà da sembrare troppo vero. Eppure la storia gli ha dato ragione. Che c’entra tutto ciò con Matteo Renzi, la riforma del Senato e la trattativa con il Movimento cinque Stelle, che ieri sera ha finalmente pubblicato sul blog le “dieci risposte alle dieci domande” del Pd, a testimonianza della “massima disponibilità al confronto e al dialogo” e per fare in modo che il Pd “non abbia più alibi”? C’entra eccome. Giusto ieri un deputato del Pd, nei passi perduti del transatlantico di Montecitorio andava recitando le stesse identiche parole a proposito del presidente del Consiglio in carica, nonché segretario del partito. Del suo partito, non di un altro.

Il parallelo
Renzi uguale a Berlusconi allora? Certo, ma non è questa la novità, essendo un fatto conclamato. Il dato da sottolineare è l’applicazione logica della teoria dello yes man. Il premier, vincendo il congresso e prendendo Palazzo Chigi – come i rivoluzionari francesi presero la Bastiglia – pensava di riportare tutto a se. “Adesso il partito e il governo farà solo quello che dico io”, va ripetendo da tempo, dopo quel fatidico 40%. Bella teoria, pessima l’applicazione pratica. Perché la battaglia che si va consumando sulla riforma del Senato – riforma che non interessa a nessuno in realtà, è solo una cartina di tornasole – cela dentro di sé un vero e proprio scontro di potere. Renzi, mettendo alla porta i senatori eletti e aprendo la strada ai senatori nominati con tanto d’ immunità parlamentare, vuol solo creare una camera a sua immagine somiglianza, che legittimi le sue azioni. Non altro. Ecco perché gli esponenti del Movimento 5 Stelle e i ribelli del Pd, sostenuti dai malpancisti di Forza Italia e del Nuovo Centrodestra, vogliono far saltare il tavolo. E non tanto per il tavolo, quanto per chi sta a capotavola, ovvero il premier. E qui s’innesta lo stop and go dei grillini, consapevoli che Renzi sta giocando con loro come il gatto con il topo. E la crociata lanciata dai ribelli del Pd, partito al quale si è iscritto anche il ministro Martina al quale la riforma elettorale non piace.

I grillini
In questo quadro si inserisce i braccio di ferro che ieri è scattato tra grillini e Pd. Il dato certo è che l’appuntamento per un confronto sulle riforme è saltato, a dire del M5S per colpa del Pd, che all’ultima si è defilato con uno scarno comunicato stampa. Circostanza che ha portato in mattinata Grillo a dare degli sbruffoni a quelli del Pd e il capogruppo Di Maio a dire che i grillini si sarebbero confrontati solo con Renzi. La tensione però è poi parzialmente rientrata con il M5S che sul blog di Grillo ha risposto alle 10 domande del Pd sulle riforme. Tra le proposte del Movimento ci sono: un primo turno proporzionale privo di soglie di sbarramento e nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza al primo turno, è previsto un secondo turno tra i due partiti più votati, al cui vincitore viene assegnato però un premio limitato, solo il 52% dei seggi. Si parla però di premi per liste, non coalizioni. E i “ni”… Disponibilità del Movimento, si legge, anche a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale. Vago invece il M5S su collegi elettorali (“dipende dall’impianto complessivo”), sul superamento del bicameralismo perfetto (“Non siamo pregiudizialmente contrari”) e, nelle risposte pubblicate sul blog, ci sono molte riserve anche sulla riforma del titolo V (“l’impianto proposto nell’attuale riforma non sia funzionale alla risoluzione dei problemi provocati dalla riforma del 2001”).