L’infinita sprecopoli italiana

Di Sergio Patti

L’Europa ci bacchetta e in un voluminoso rapporto mette nero su bianco il fallimento nell’utilizzo dei fondi strutturali. Un pericoloso campanello d’allarme, perché se non riusciremo a impegnare le risorse stanziate fino al 2020 perderemo una montagna di soldi. Sono infatti più di 40 i miliardi (da cofinanziare) che ballano. Renzi ieri l’ha ammesso: “Lo dico da anni, abbiamo speso male i fondi europei. Utilizzarli meglio è un obiettivo di questo governo. Da Palazzo Chigi – ha aggiunto – si è cominciato a togliere fondi alle Regioni che non spendono fondi europei e metterli sulle scuole e sui progetti legati all’edilizia scolastica”. Sul tema ha rassicurato anche il sottosegretario Graziano Delrio: “I 40 miliardi di fondi Ue dell’accordo di partenariato ancora da stipulare rappresentano oggi semmai l’opportunità di spenderli tutti fino all’ultimo centesimo e non il rischio di perderli”. Ma come stanno effettivamente le cose?

Tedeschi alla finestra
In tema di fondi strutturali, prima di tutto occorre smentire il luogo comune secondo il quale noi italiani otteniamo favori e la ricca Berlino ci mantiene: è semplicemente falso. Dopo Germania e Francia, l’Italia è il” terzo contribuente netto” (nel senso che dà a Bruxelles più di quello che riceve), prima di Gran Bretagna, Olanda, Belgio e della rigorosa Svezia. La Corte dei Conti (secondo la Relazione della sua sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali datata 31 dicembre 2012) stimava il contributo netto dell’Italia al Bilancio dell’Unione Europea per il 2011 pari a 6,7 miliardi: infatti nel 2011 abbiamo versato 16 miliardi di euro e ne abbiamo ricevuti appena 9,3. Tra il 2005 e il 2011 l’Italia ha avuto nel complesso un saldo negativo tra i contributi versati all’Ue e le risorse ricevute pari a 39,3 miliardi. Paradossalmente da tempo è anche la cancelliera tedesca Merkel a sottolineare che i fondi europei per lo sviluppo dovrebbero essere spesi meglio e che il primo paese problematico è l’Italia. Non solo: per tale ragione la Merkel ha anche ipotizzato una task force a Bruxelles sui fondi europei con poteri sostitutivi nei confronti degli stati membri inefficienti. ma in realtà i tedeschi sono ben contenti: poichè spendiamo poco e male i fondi europei per lo sviluppo, regaliamo 39,3 miliardi in sette anni a Bruxelles e non facciamo concorrenza alle imprese tedesche.

L’analisi dei fondi disponibili
Nei prossimi due anni si sovrapporranno i soldi di due cicli di programmazione: 1) più di 70 miliardi del periodo 2014-2020, di cui più di 40 ancora da spendere: circa 57,5 miliardi di euro dei programmi cofinanziati dal Fesr (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e dal Fse (Fondo Sociale Europeo); circa 17 miliardi cofinanziati dal Feasr (Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale); 2) i 34 miliardi ancora non spesi al 31 ottobre del ciclo 2007-2013 (secondo i dati pubblicati sui siti dei Ministeri della Coesione Territoriale e delle Politiche Agricole) così suddivisi: i rimanenti 26,8 miliardi dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali europei (Fse e Fesr); i rimanenti 7,19 miliardi di euro dei piani cofinanziati dal Feasr. L’Italia avrebbe dovuto spendere e rendicontare tutto entro dicembre 2013: grazie alla deroga del meccanismo N+2 prevista da Bruxelles, deroga che evita il disimpegno automatico del cofinanziamento europeo, tutti i 34 miliardi di euro potranno essere spesi entro dicembre 2015. Poichè abbiamo solo un anno e un pezzetto per non perdere questi soldi occorre agire con tempestività. Partiamo dai 26,8 miliardi di euro non spesi dei programmi cofinanziati da Fse e Fesr: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, al 31 agosto, 6,3 miliardi (di quei 26,8) non erano ancora impegnati da obblighi giuridicamente vincolanti. Allora programmiamo questi fondi non impegnati e diamone una quota alle città metropolitane; poichè la finanza comunale è a pezzi, poichè il disegno di legge Delrio sulle città Metropolitane rischia di essere un contenitore vuoto in quanto non individua precisamente le risorse.

Con la collaborazione
di Andrea del Monaco
Consulente secondo Governo Prodi