Lobby senza controllo alla Commissione europea. La pantomima senza fine del Transparency Register

di Stefano Sansonetti

Le istituzioni europee, sempre pronte a impartire lezioni, sembrano proprio essersi smarrite nella selva oscura delle lobby. E pensare che da Bruxelles spesso e volentieri decantano il valore del “Transparency register”, in pratica l’elenco al quale dovrebbero iscriversi i vari gruppi di interesse per poter legittimamente perorare le loro istanze davanti a Commissione e Parlamento Ue. Peccato che i fatti accaduti negli ultimi giorni dimostrino come il registro in questione tutto sia fuorché una garanzia di rigore e trasparenza. Si dà infatti il caso che lo scorso 28 aprile sia scaduto il termine entro il quale gruppi, aziende e associazioni varie avrebbero dovuto aggiornare i loro dati, in particolare quelli relativi al fatturato, al numero e all’identità dei lobbisti da accreditare presso le istituzioni. L’aggiornamento è requisito indispensabile al mantenimento dell’iscrizione nella lista composta da migliaia di soggetti. Ebbene, il termine in questione è scaduto senza che alcuni grossi gruppi abbiano aggiornato la loro posizione. Parliamo, tanto per fare gli esempi più significativi, di realtà come Twitter, Coca-Cola e Air France. Altri grossi gruppi hanno completato l’aggiornamento in zona Cesarini. E cosa accade a chi non integra i suoi dati? Scatta immediatamente la sospensione dal registro. Dopodiché nelle successive due settimane, dietro aggiornamento dei dati, si può riattivare l’iscrizione. In caso contrario il soggetto viene cancellato, in teoria con la conseguente impossibilità di far interfacciare i suoi lobbisti con le istituzioni comunitarie.

LO SCENARIO
Ma cosa significa tutto questo ritardo negli aggiornamenti? Semplice, che nell’Unione europea ci sono grandi e piccoli gruppi che mostrano la più totale disattenzione nei confronti delle esigenze di aggiornamento dei loro dati. E questo disinteresse, in ultima analisi, dimostra che alla fine gli stessi gruppi ritengono di potere svolgere tranquillamente le loro attività lobbistiche a prescindere dalla presenza in un registro la cui utilità, finora, è stata più che altro “strombazzata”. Qualche giorno fa l’ufficio europeo di Transparency International ha stimato in più di 1.500 gli organismi che non hanno fatto pervenire i loro dati aggiornati e che quindi sono stati sospesi. In tutto, fino ad aprile dello scorso anno, i lobbisti iscritto nel registro erano 6.486. Per carità, nei prossimi giorni i ritardatari potranno comunicare la loro posizione aggiornata e fare in modo che la sospensione venga a cadere. Ma l’andazzo dimostra che il registro serve a poco. Fino a qualche giorno fa, per esempio, anche il colosso petrolifero russo Gazprom risultava non aver inoltrato dati aggiornati. La comunicazione, però, è stata successivamente perfezionata e ora Gazprom risulta iscritto. Lo stesso dicasi per Bank of America, altro gruppo che ha comunicato con qualche giorno di ritardo l’aggiornamento ottenendo per tempo il reinserimento. Tra i soggetti italiani che ancora ieri non risultavano confermati nel “Transparency register” ci sono, per esempio, la Fieg (Federazione italiana editori di giornali) e la Fit (Federazione italiana tabaccai). Mentre risultano iscritte realtà come Eni, Enel, Finmeccanica, Fs, Cassa Depositi e Prestiti, Fincantieri, Rai, Mediobanca e Mediaset. Il punto, però, è sempre lo stesso. Anche se si è fuori dal registro si può tranquillamente entrare in contatto con il “decisore” politico europeo di turno. Basta farsi quattro chiacchiere con qualsiasi lobbista operativo a Bruxelles per averne conferma.

GLI ALTRI
Situazione ben diversa in Canada o negli Usa, dove si deve sapere con quali gruppi di pressione si è incontrata una determinata istituzione, per quante volte e per quali motivi. In Europa, invece, siamo ancora in una situazione in cui tutti fanno come vogliono. E l’iscrizione del “Transparency register” altro non è che la classica foglia di fico dietro la quale nascondersi. Di più, perché ci sono lobbisti che ammettono candidamente che la loro iscrizione in quell’elenco, del tutto inutile in termini pratici, viene utilizzata quasi esclusivamente per ragioni di marketing. E così, mentre l’Italia insegue da anni una seria regolamentazione delle lobby (c’è un ddl all’esame del Senato), in Europa una regolamentazione c’è ma fa acqua da tutte le parti. E proprio per questo non è da prendere come esempio virtuoso.

Twitter: @SSansonetti