L’ultima furbata della Casta: vitalizi garantiti pure a chi rinuncia all’indennità. Così deputati e senatori incassano due volte

Le vie del privilegio sono come quelle del Signore: infinite. Figuriamoci poi se si parla delle pensioni dei nostri parlamentari. Guai a chi gliele tocca, come nel caso dei famigerati vitalizi. Proprio per non farsi mancare nulla, stavolta gli onorevoli hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo. E per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per esempio i magistrati, che vengono eletti alla Camera o al Senato e che scelgono di optare come prevede una norma del 2001 per la conservazione dello stipendio rinunciando all’indennità parlamentare (circa 5.000 euro netti al mese), si sono inventati nientepopodimenoché un codicillo che permette loro di maturare il vitalizio pagando i contributi sulle cosiddette competenze accessorie. Ovverosia? Dei rimborsi spese che, nonostante continuino a prendere uno stipendio più alto dalla Pa, i “nostri” incassano lo stesso, senza colpo ferire. Fra diaria e voci varie, si tratta di una torta da 8.400 euro al mese per la Camera e di 9.300 euro per il Senato. Sì, avete capito bene.

La furbata l’hanno scoperta quelli di DiMartedì (La7), e affonda le proprie radici non solo nella già citata norma approvata 19 anni fa, sopravvissuta a qualsiasi bufera mentre ai comuni mortali veniva somministrava la legge Fornero. Ma soprattutto nei regolamenti delle pensioni di deputati e senatori. Con una differenza sostanziale, il che rende la vicenda ancor più curiosa. A Montecitorio, recita infatti l’articolo 1 del documento, “i deputati che, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, optino, in luogo dell’indennità parlamentare, per il trattamento economico in godimento presso la pubblica amministrazione di appartenenza, possono chiedere di essere ammessi al versamento di contributi, al fine di ottenere la valutazione del mandato parlamentare a fini previdenziali. In tal caso, le trattenute sono effettuate sulle competenze accessorie”.

Quel “possono” sparisce invece quando si va a spulciare l’altro regolamento, quello di Palazzo Madama. “I senatori – è scritto anche in questo caso all’articolo 1 – sono assoggettati d’ufficio alla contribuzione previdenziale, che si effettua mediante trattenuta sull’indennità parlamentare, ovvero sulle competenze accessorie qualora abbiano optato, in luogo dell’indennità, per il trattamento economico in godimento presso la pubblica amministrazione di appartenenza, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”. Tradotto: mentre per i deputati quella di farsi una pensione complementare è una scelta facoltativa, per i colleghi senatori il processo avviene “d’ufficio”. Così una volta raggiunta l’età i fortunati ex inquilini di Palazzo Madama avranno due pensioni a prescindere. Un unicum, di fatto, visto che l’escamotage in questione non è consentito a nessun altro lavoratore. Insomma, un privilegio nel privilegio a uso e consumo degli onorevoli, ça va sans dire.

Twitter: @GiorgioVelardi