L’unica tortura è il Parlamento. La legge che introduce il reato è ancora ferma. Mentre tra le sbarre si crepa più di prima

La legge che introduce il reato di tortura è ferma in Senato. Ma da Nord a Sud spuntano nuovi casi di morti sospette.

Ancora tutto fermo. Nonostante le promesse, in primis quella del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Che l’8 aprile 2015, il giorno dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per i fatti della scuola Diaz (G8 di Genova), prometteva via Twitter l’approvazione della legge che dovrebbe finalmente introdurre nell’ordinamento italiano il reato di tortura. Dovrebbe, appunto. Perché l’agognato provvedimento, che è già stato approvato in prima lettura sia dalla Camera sia dal Senato fra marzo 2014 e aprile 2015, è arenato nelle secche della commissione Giustizia del Senato. E probabilmente lì resterà per sempre. “Nonostante siano passati ventotto anni da quando l’Italia ha ratificato la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, temo che nemmeno stavolta si riuscirà ad approvare la legge”, dice a La Notizia Luigi Manconi (Pd), presidente della commissione Diritti umani del Senato. “Da tre legislature è sempre la stessa storia”, chiarisce Felice Casson (Pd).

TESTIMONIANZE – E mentre in Parlamento si cincischia, nonostante i casi già passati tristemente alla storia (quelli di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Giuseppe Uva), in carcere si continua a morire. Ad oggi, stando ai dati di Ristretti Orizzonti, si contano 71 morti (di cui 26 suicidi). L’ultimo caso al carcere Pagliarelli di Palermo. Antonio Cangemi era stato arrestato l’anno scorso per coltivazione di marijuana. Pochi giorni fa, a fine settembre, i genitori si presentano per l’abituale colloquio. Ma ad attenderli c’è l’incredibile: viene comunicato loro che il figlio era morto il giorno prima. A stroncarlo, dicono dal penitenziario, sarebbe stato un arresto cardiaco. Cangemi soffriva di salute, tanto che i familiari avevano più volte chiesto che venisse trasferito ai domiciliari. Richiesta rimasta inevasa. Ma resta un atroce dubbio: perché nessuno aveva avvisato la famiglia? Domanda che resta ancora senza risposta, tanto che la Procura ha aperto un’inchiesta. Ma non è finita qui. È gennaio quando, alla sede del Difensore civico del Piemonte, arriva una lettera a firma “R.A.” in cui viene denunciato un episodio di violenza al carcere di Ivrea e di cui l’autore della missiva sarebbe stato teste oculare. “Il giorno sabato 7 novembre scorso – si legge – ho assistito al maltrattamento di un giovane detenuto, probabilmente nordafricano. Verso le ore 20.15 sono stato attratto da urla di dolore e di richieste di aiuto e sono uscito dalla mia. Ho visto tre agenti picchiare con schiaffi e pugni il giovane che continuava a gridare chiedendo aiuto e cercava di proteggersi senza reagire. Alla scena assistevano altri agenti e un operatore sanitario che restavano passivi ad osservare”. Anche qui indaga la Procura. Per ora contro ignoti.

LE DENUNCE – Pesanti ombre si stagliano, infine, anche intorno al carcere di Poggioreale (Napoli). Già anni fa un ex detenuto aveva sporto denuncia per maltrattamenti subiti in carcere. Dove, precisamente? Nella cosiddetta “cella zero”: una stanza vuota, priva di telecamere, con le pareti sporche di sangue. Nel corso del tempo le denunce di ex detenuti sono diventate oltre 150. E poche settimane fa si è chiusa l’inchiesta sulle violenze a Poggioreale: 23 persone sono indagate per reati che vanno dal sequestro di persona all’abuso di autorità, maltrattamenti, lesioni, violenza privata. Ecco: “Se esistesse il reato di tortura”, dicono da Antigone, l’associazione che si occupa dei maltrattamenti in carcere, “si indagherebbe innanzitutto su questo”.