Mafia, Strasburgo boccia ancora l’Italia. Contrada non andava condannato. Per la Corte il reato non era sufficientemente chiaro

Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. A dirlo è stata la Corte europea dei diritti umani, secondo cui “all’epoca dei fatti contestati, tra il 1979 e il 1988” il reato “non era sufficientemente chiaro e prevedibile” e quindi da parte dell’ex agente del Sisde non c’è stata una “violazione dell’articolo 7 della Convenzione”. Per questo lo Stato dovrà versargli 10mila euro di risarcimento (contro gli 80mila chiesti da Contrada) per i danni morali e 2500 euro (contro i 30mila richiesti) per le spese processuali sostenute. Già nel 2014 la corte di Strasburgo aveva condannato l’Italia per la detenzione dell’ex funzionario del Sisde. Secondo i giudici le condizioni di salute di Contrada, tra il 2007 e il 2008, non erano compatibili con il regime carcerario. Adesso i suoi legali puntano alla revisione del processo. “Ho presentato due mesi fa la quarta domanda di revisione e la corte di appello di Caltanissetta mi ha fissato l’udienza il 18 giugno.

IL LEGALE

La sentenza di Strasburgo sarà un altro elemento per ottenere la revisione della condanna”, ha commentato l’avvocato Giuseppe Lipera, legale dell’ex numero 2 del Sisde dopo al decisione della Corte europea dei diritti umani. “Sono frastornato, sconvolto, ansioso di sapere di più”, ha commentato a caldo Bruno Contrada. Da 23 anni la sua vicenda giudiziaria tiene banco non solo nelle aule di giustizia italiane ed europee ma anche nel dibattito politico e giudiziario perchè Bruno Contrada, 84 anni, napoletano ma palermitano d’adozione, quando fu arrestato era ai vertici degli apparati investigativi italiani, numero tre del Sisde, dopo aver percorso tutte le tappe dell’ investigatore da dirigente di polizia ad alto funzionario dei servizi segreti nell’ arco di un trentennio.

IL PROCESSO

Arrestato, la vigilia del Natale ’92, l’anno delle stragi palermitane, poi a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, è stato condannato a 10 anni di carcere il 5 aprile ’96. Sentenza ribaltata in Corte d’appello il 4 maggio 2001: assolto. La Cassazione ha rinviato gli atti a Palermo. Poi la nuova condanna a 10 anni nel 2006, dopo 31 ore di Camera di consiglio della Corte d’appello palermitana, e la conferma della Cassazione l’anno successivo. Quindi il carcere, i domiciliari e poi la fine pena nell’ottobre 2012. Sono poi cominciati i tentativi di revisione del processo e gli appelli alla corte di Strasburgo per i diritti umani. Italia condannata due volte: nel febbraio 2014 perché il detenuto non doveva stare in carcere quando chiese i domiciliari per le sue condizioni di salute e oggi perchè l’ex poliziotto non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non “era sufficientemente chiaro”.