Medioriente a un passo dal baratro

Tensione infinita in Medioriente, dove la guerra totale è sempre più vicina. Israele, dopo aver mosso i tank verso la Striscia di Gaza, è pronto all’invasione dei territori per fermare il lancio di missili di Hamas. Nella notte nuovi raid dello stato ebraico che hanno provocato altri sei morti. Il rischio è un allargamento del conflitto. Un missile verso Israele è stato, infatti, lanciato anche dal Libano dove gli Hezbollah sono pronti ad affiancare la Palestina. Si muovono l’Onu e Barack Obama. Il presidente Usa ha chiamato Netanyahu esprimendo preoccupazione per l’escalation bellica. Ma Hamas si dice pronta a “combattere per mesi” sino alla rimozione del blocco su Gaza e la liberazione dei prigionieri palestinesi.

TREGUA NON IN AGENDA PRONTO L’ATTACCO VIA TERRA

Di Fabrizio Gentile

Non si ferma la guerra, anzi si intensifica. Un possibile cessate il fuoco ad ora sembra improbabile e un’ azione terrestre resta un’opzione possibile. Una realtà che gli Usa in serata si sono augurati di “non vedere”: “Nessuno vuole assistere ad un’invasione di Gaza da parte di Israele. Per questo e’ importante un allentamento delle tensioni”, ha dichiarato la portavoce del Dipartimento di Stato, Jennifer Psaki. Al terzo giorno di guerra le vittime nella Striscia sono salite a circa 87 con circa 620 feriti, e si è infittito il numero dei razzi nei cieli di Israele, compresi
quelli di Tel Aviv e Gerusalemme: oltre cento.

Attacco dal cielo
In meno di tre giorni, a ieri mattina, ne sono arrivati 365, uno ogni 10 minuti. Il premier Benyamin Netanyahu ha ribadito oggi che “una tregua non è in agenda” e che le operazioni militari continueranno. Ma oltre all’altolà arrivato dagli Usa, si e’ alzata anche la voce
dell’Onu. Il segretario generale Ban Ki Moon, pur condannando l’uso dei razzi da Gaza, ha definito “intollerabile l’eccessivo uso della forza da parte di Israele”. Ban – che ha parlato con Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen – ha invitato alla “massima calma” per “evitare il rischio di una ulteriore escalation”. Anche il presidente russo Vladimir Putin ha invocato – durante una telefonata con Benyamin Netanyahu – uno stop “urgente del confronto armato”. L’Egitto, mediatore storico tra Hamas e Israele, si muove invece con più lentezza: il presidente al-Sisi, dopo aver rotto con la fazione islamica, è apparso molto cauto anche sui raid israeliani.

Fuori dal mirino
Israele sembra determinato a non permettere più ad Hamas di bersagliare il paese: finché non termineranno i razzi e non sarà riportata la calma l’operazione continuerà. Anzi sarà estesa: l’esercito, dopo il richiamo dei 40 mila riservisti, è già schierato ai confini con la Striscia. “Fino ad adesso non ho parlato con nessuno di un cessate il fuoco”, ha tagliato corto Netanyahu, gelando ogni speranza. E il presidente Shimon Peres – che aveva avvertito Hamas sulla possibilità di un’azione di terra – ha ripetuto con chiarezza che Israele “ è pronto ad ogni scenario per proteggere” i propri civili. “Non permetteremo di essere vittime”, ha incalzato. Una linea ribadita con forza dall’ambasciatore israeliano all’Onu Ron Prosor secondo cui “Israele non sosterrà un cessate il fuoco” visto che la sua “è un’azione di autodifesa”.
Dal rappresentante palestinese al Palazzo di Vetro Riyad Mansour e’ invece arrivato l’appello al
Consiglio di Sicurezza per agire “subito per proteggere i civili”. È ancora quindi il terreno a parlare: a Gaza, che dall’inizio delle ostilità – secondo alcune fonti – è stata bersaglio di circa 800 raid (60 solo ieri), la situazione sta peggiorando sempre di più.

Avvertimenti via sms
Nel meccanismo del conflitto, l’esercito israeliano ha inviato ieri sms per avvertire i residenti di Gaza, fra Beit Lahya e Jabalya, nel nord della striscia, e a Rafah, alla estremità sud, di allontanarsi dalle zone. Ma secondo fonti palestinesi, la polizia di Hamas ha suggerito alla popolazione di ignorare quei messaggi, definendoli “una forma di guerra psicologica”. In Israele il susseguirsi dei razzi – anche quelli a lungo raggio – ha coinvolto la zona centrale del paese e quella del sud. In particolare in quella più vicina alla Striscia, la vita in pratica si svolge attorno ai rifugi visto il poco tempo che si ha per mettersi al riparo. La mancanza di vittime – si segnala solo una donna anziana scivolata in bagno durante un allarme – è dovuta in gran parte allo scudo protettivo offerto dal sistema anti missili Iron Dome che, secondo i militari, sta lavorando con più efficacia rispetto alla crisi del 2012. Ma è innegabile lo stato di tensione nel paese: anche a Tel Aviv, dove le sirene hanno risuonato ieri mattina presto, e a Gerusalemme.

HEZBOLLAH LIBANESI CON HAMAS, MICCIA ACCESA IN MEDIORIENTE

Di Angelo Perfetti

Rispetto a qualche tempo fa, i missili lanciata da Gaza hanno una gittata molto più lunga e non sono sparati nel mucchio ma hanno obiettivi precisi. Solo che le mira non è ancora adeguata. È questo particolare apparentemente marginale a fare la differenza nell’analisi generale della situazione in Medioriente. Perché significa molte cose: prima di tutto che qualcuno sta armando costantemente Hamas, e non è difficile immaginare che dietro a questo salto di qualità negli armamenti ci sia la disponibilità dell’Iran. Lo stesso Iran che strizza l’occhio agli Hezbollah in Libano, i quali potrebbero supportare – magari in maniera non ufficiale ma non per questo meno efficace – un’eventuale difesa da un attacco di terra da parte di Israele. Attacco che, proprio in virtù della maggiore precisione dei lanci da Gaza, potrebbe non essere più procrastinabile. Poco probabile, infatti, che gli israeliani diano il tempo ai palestinesi di mettere il mirino sulle centrali nucleari, peraltro già sfiorate negli ultimi attacchi. al di là delle rassicurazioni formali, infatti, l’effetto che avrebbe in Israele ila distruzione di un bersaglio del genere sarebbe devastante.

La posizione italiana
“Tutta l’attenzione – spiega il generale Fernando Termentini, esperto di scenari internazionali – è concentrata sulla Striscia di Gaza, ma è dal vicino Libano, e dalla Siria, che potrebbero arrivare i guai per Israele. E in quello scacchiere c’è un Contingente multinazionale di pace sistemato proprio a protezione dei confini, per impedire forme di contatto che potrebbero sfociare in conflitti. A guidare quel contingente c’è attualmente l’Italia, che dunque oggi come oggi rischia parecchio. La nostra politica comunque – spiega Termentini – non è mai stata aggressiva né ostile con nessuna delle forze in campo. Questa capacità diplomatica ci consente di gestire al meglio una situazione che reputo comunque estremamente rischiosa. Ecco perché sarà importantissimo mettere in moto l’intelligence; la gestione di un momento simile non può essere fatta con il dispiegamento di forze in campo. Mostrare i muscoli, soprattutto per chi deve fare sostanzialmente da cuscinetto, non è mai la soluzione giusta”.

La sponda egiziana
Il Cairo resta diviso tra forti timori di un possibile sfondamento del confine comune con Gaza da parte di palestinesi in fuga dai bombardamenti israeliani che si intensificano sempre di più e tentativi di mediazione con
Israele e Hamas, che i palestinesi respingerebbero. Questo il quadro fornito dalla stampa egiziana nelle drammatiche ore che
si stanno vivendo nella striscia di Gaza. Ma mentre la Lega Araba si mobilita per tentare di fermare quello che il presidente palestinese Mahmoud Abbas(Abu Mazen) ha definito “un massacro, una carneficina” convocando con urgenza i delegati arabi al Cairo, e l’inviato palestinese all’Onu, Riyad chiede al presidente di turno ruandese una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza, il presidente Mansour,
egiziano Abdel Fattah El Sisi ha dovuto essere sollecitato dal segretario generale dell’Onu, Ban ki Moon, ad aprire, sia pur con enormi limitazioni, il confine con Gaza per consentire ai feriti palestinesi di ricevere soccorsi in terra egiziana. Il Cairo giustifica queste restrizioni con la dura guerra che ha dovuto combattere nei mesi scorsi, e che è ancora in corso, contro i gruppi di estremisti islamici radicali che hanno invaso il nord del Sinai ed hanno provocato la morte di soldati egiziani. Peraltro sarebbero proprio quegli estremisti – secondo fonti dei servizi – a controllare il passaggio di Rafah in numero e con forza molto più ampie degli uomini di Hamas.