Mezzogiorno tradito. Comuni sprovvisti di gas metano, mentre Renzi pensa al ponte sullo Stretto

Ci sono paesi e località nel Mezzogiorno, specie nel Cilento, che ancora non sono rifornite di gas nonostante la prima legge di stanziamento risalga al 1980

Mentre Matteo Renzi e la sua claque sono determinati: il Mezzogiorno ha bisogno del suo ponte di Messina perché, parola di premier, porterà 100mila posti di lavoro tra Sicilia e Calabria. Peccato però che le priorità del Sud siano decisamente altre. A cominciare dalla metanizzazione e dal gas metano. Sembrerà incredibile, infatti, ma ci sono paesi e località nel Mezzogiorno, specie nel Cilento, che ancora non sono rifornite di gas metano. Nonostante la prima legge di stanziamento risalga al 1980. Tanto che nel 2013 sono stati disposti ulteriori 140 milioni per completare l’opera. Ma, ovviamente, ancora si è in alto mare. Col risultato che i ritardi crescono e le popolazioni aspettano.Ma partiamo da principio. È il lontano 1980, come detto, quando ci si pone per la prima volta il problema di fornire il Mezzogiorno di metanodotti. Ecco che allora, grazie alla legge n.784 di quell’anno, arrivò il primo corposo finanziamento statale (605 miliardi di lire), a cui si aggiunsero anche contributi europei e di privati. Per un totale, rapportato ad oggi, di 2,5 miliardi di euro. Una montagna di soldi, dunque, che in effetti a qualcosa servì. Secondo la relazione pubblicata dal ministero dello Sviluppo Economico, infatti, quei finanziamenti, tra metanodotti, bacini e adduttori, interessarono ben 1.210 Comuni. Alcuni però ne rimasero fuori. Arriviamo allora al 1997 quando venne approvato un secondo stanziamento per i Comuni che erano rimasti esclusi dalla prima tornata di finanziamenti (1.792): circa 748 milioni di euro per terminare il progetto, a cui si aggiunsero altri fondi privati (oltre 656 milioni) per un totale di 1,4 miliardi. Eppure, nonostante la mole di soldi, non tutti riuscirono a godere del piatto: i Comuni interessati dal secondo finanziamento furono solo 667. Meno della metà.

DI MALE IN PEGGIO – Arriviamo, allora, ad oggi. Nonostante siano passati ormai 36 anni, ancora c’è molto da fare. È il MiSe stesso a dirlo. Specie in alcune zone. La situazione raggiunge l’inverosimile nella zona del Cilento che, come scrive lo stesso ministero guidato da Carlo Calenda, rappresenta una “anomalia” nel panorama della metanizzazione, dato che la “quasi totalità dei comuni” (95 in tutto per 270mila abitanti) risulta sprovvista di una rete di metano. Sebbene – ecco l’assurdo – la maggior parte di questi risultino “regolarmente inseriti” nella delibera del lontano 1986 con la quale il Cipe sanciva “l’ammissibilità a finanziamento”. Insomma, un fallimento. Ma perché questo clamoroso flop? Semplice: negli anni passati, la metanizzazione è stata completamente dimenticata. Dal 2005 al 2013 – e dunque per ben otto anni – i Governi che si sono succeduti hanno stanziato per la metanizzazione nulla di nulla. Nemmeno un centesimo. Col risultato paradossale che, scorrendo la lista di tutti i progetti che risultano oggi in piedi (653 in totale), solo alcuni sono giunti a collaudo. Nonostante in molti casi, il decreto di attivazione sia arrivato da anni. È  il caso, per dirne una, di Santa Elisabetta, in provincia di Agrigento: stanziamento approvato nel 2004, ma poi tutto bloccato. O di Carfizzi (Catanzaro): soldi stanziati nel 2013, ma manca ancora il decreto di collaudo.

Ecco allora che nel 2013 si decide di stanziare ulteriori 140 milioni spalmati dal 2014 al 2020 (20 milioni all’anno), per ultimare l’incompiuto. A che punto siamo? In alto mare, ovviamente. Nonostante oltre 60 Comuni abbiano chiesto i fondi, ad oggi, si legge nella relazione del ministero, solo due progetti sono stati presi in considerazione per uno stanziamento di soli 7 milioni. Tanto che, dice il MiSE, ora “l’attività istruttoria si intensificherà”. Tanto c’è tempo. Dopo 36 anni di ritardo.