Mister Flat tax non si dimette. Mercoledì l’ultimo atto sul caso Siri. Se il sottosegretario indagato non lascia, deciderà il Consiglio dei ministri a maggioranza

Fonti parlamentari M5S ribadiscono che sul sottosegretario Armando Siri la posizione è quella del premier Conte

La questione è chiusa. Fonti parlamentari M5S ribadiscono che sul sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione in un’inchiesta in odor di mafia, “la posizione è quella del premier Giuseppe Conte: dimissioni o revoca”. Il Consiglio dei ministri-verità potrebbe tenersi mercoledì. Nessuno tra i pentastellati vorrebbe che si arrivasse alla conta e tutti sperano in dimissioni spontanee. “Se si dovesse andare a votare in Cdm l’M5S avrebbe la maggioranza assoluta”, avverte Luigi Di Maio. Che ieri in un comizio a Casora non è arretrato d’un passo. Anzi: “Il Movimento voterà in consiglio dei ministri per la decadenza Di Siri. Questa questione si poteva chiudere in due minuti”. E ancora: “Mi sorprende che un partito come la Lega faccia tutto questo casino per una poltrona”.

Difficile immaginare che i leghisti possano l’8 maggio ingaggiare un braccio di ferro e non è escluso che l’ideatore della flat tax rimetta il suo mandato volontariamente. Anche se fonti leghiste fanno sapere che Siri non si dimetterà e nella Lega “nessuno lo molla”. Una provocazione, forse, o una risposta a quanti hanno sostenuto che il Carroccio lo abbia scaricato. Su Facebook il sottosegretario scrive: “Non esiste alcuna polemica con il mio partito che, anzi, ringrazio per tutte le manifestazioni di affetto dimostrate in questi giorni”. Nella Lega c’è chi morde il freno: i conti si faranno dopo le Europee.

Anche perché far cadere il governo ora per un’inchiesta su un sottosegretario indagato per corruzione, spiega lo stesso Di Maio, sarebbe un azzardo. Tanto che il leader della Lega Matteo Salvini nel day after non commenta la scelta di Conte e rilancia: “Io questo governo lo porto avanti costi quello che costi perché la mia parola vale più di tutti i sondaggi, più di tutti gli insulti, più di tutte le minacce”. E si trincera dietro il mantra “lavoro sì, polemiche no”. Da Gorizia il sottosegretario, Giancarlo Giorgetti ribadisce: “Rompere la coalizione? Non so, si tratta di decidere se si vuole perdere tempo con le dichiarazioni e con i giornalisti o se si vuole lavorare”.

Il capo politico M5S esclude rimpasti e dice: “Dopo le Europee continueremo a lavorare più di prima”. Da parte del ministro dell’Interno si nota un accanimento nel chiedere la flat tax. Come se caduto in guerra l’uomo simbolo della tassa unica, il suo capo partito volesse portarne avanti almeno la battaglia ideologica. Ieri in tour elettorale in Emilia-Romagna a una domanda su Siri ribadisce: “Non ho tempo da perdere in polemiche. La flat tax è un’emergenza nazionale, un diritto, quindi non esistono parlamentari o ministri che dicono che c’è tempo per ridurre le tasse. La flat tax è un tema da portare in Consiglio dei ministri non altri”.

Il premier giorni fa aveva frenato sulla tassa piatta: “Non è questo il momento di parlare di riforma fiscale”. Anche se poi aveva fatto sapere che è nel contratto ma se ne parlerà in autunno con la legge di Bilancio. “Ben venga la flat tax – gli aveva fatto eco Di Maio – ma non aumentando l’Iva”. E di certo non favorendo i ricchi. Ieri il capo politico M5S ha insistito con gli aiuti alle famiglie alle quali conta di destinare il miliardo risparmiato sul reddito di cittadinanza. Poi verranno “abbassamento delle tasse con la riduzione del cuneo fiscale e aumento degli stipendi dei lavoratori, con l’introduzione del salario minimo”. Su cui i 5 Stelle temono che la Lega provi a mettersi di traverso facendolo passare al Senato e per poi bloccarlo alla Camera. Perché quello che dovrà essere verificato è il prezzo da pagare per il caso Siri.