Morto Totò Riina. Dagli albori all’arresto, la storia del capo dei capi con tanti buchi neri. La Chiesa: niente funerali pubblici

Totò Riina è morto dopo due giorni di coma farmacologico a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute in seguito a due interventi chirurgici

Toto Riina è morto alle 3.37 di ieri notte. Il super boss di Cosa nostra era in coma farmacologico da due giorni a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute in seguito a due interventi chirurgici che ha subito. Riina era ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Il boss di Corleone (Palermo) è stato condannato a 26 ergastoli per omicidi a raffica e stragi mafiose tra cui quelle che fecero saltare in aria i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Passerà alla storia come il mafioso che ha lanciato l’offensiva dinamitarda allo Stato a partire dai primi anni ’90. Non si è mai pentito dei delitti commessi sfidando, anche da dietro le sbarre, l’apparato dello Stato. Si è sempre vantato delle stragi del ’92, anche tre anni fa in un colloquio con un detenuto, come raccontano le cronache. E più volte ha minacciato Nino Di Matteo, pubblico ministero del processo sulla presunta “trattativa Stato-Mafia”. Proprio ieri Riina aveva compiuto 87 anni. I giudici hanno ritenuto che la malattia fosse compatibile con il carcere (41 bis) visto che il boss è sempre stato assistito al meglio con le migliori condizioni possibili.

La sua storia – Arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza, è ancora considerato dagli inquirenti il capo indiscusso di Cosa nostra. Riina sta scontando 26 condanne all’ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del ’92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del ’93, nel Continente.

Sua la scelta di lanciare un’offensiva armata contro lo Stato nei primi anni ’90. Mai avuto un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell’omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati. L’ultimo processo a suo carico, ancora in corso, è quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, in cui è imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato.

Nato a Corleone nel 1930, è il maggior rappresentante dei falchi di Cosa nostra. È lui il regista delle stragi dell’estate del ’92 a Palermo dove persero la vita Falcone, Borsellino e gli agenti delle loro scorte. È ritenuto mandante di tutti gli omicidi eccellenti eseguiti dai sicari della mafia.

Totò ‘u curtu, come venne ribattezzato per via della sua statura, inizia l’ascesa in Cosa nostra nei primi anni Settanta, consolidando il suo potere negli anni Ottanta quando la mafia corleonese sfida le storiche famiglie palermitane da boss del calibro di Stefano Bontade e Totuccio Inserillo. Sin da giovane, Riina lega il suo nome a quello del mafioso Luciano Liggio, con il quale intraprende il furto di covoni di grano e bestiame e lo affila nella locale cosca mafiosa, di cui faceva parte anche lo zio paterno di Riina, Giacomo.

A 19 anni Riina viene condannato a 12 anni, pena scontata parzialmente nel carcere dell’Ucciardone, per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo, Domenico Di Matteo, venendo però scarcerato nel 1956.

Viene però arrestato nel dicembre del 1963 a Torre di Gaffe: ha con sé una carta d’identità rubata e una pistola non regolarmente dichiarata. Tenta di scappare ma venne braccato e catturato dalle forze dell’ordine. Dopo aver scontato alcuni anni di prigione all’Ucciardone viene assolto per insufficienza di prove e dopo l’assoluzione, si trasferisce con Liggio a Bitonto, in provincia di Bari. Il Tribunale di Palermo emette un’ordinanza di custodia precauzionale nei loro confronti. Riina torna da solo a Corleone, dove viene arrestato e gli venne applicata la misura del soggiorno obbligato; scarcerato e munito di foglio di via obbligatorio, non raggiunge mai il soggiorno obbligato, dando inizio alla sua latitanza.

Nel 1969 è tra gli esecutori della strage di Viale Lazio, che doveva punire il boss Michele Cavataio. Nel 1971 Riina è l’esecutore materiale dell’omicidio del procuratore Pietro Scaglione e, nello stesso anno, partecipa ai sequestri a scopo di estorsione ordinati da Liggio a Palermo: Giovanni Porcorosso, figlio dell’industriale Giacomo, e anche il figlio del costruttore Francesco Vassallo mentre nel 1972 Riina stesso ordina il sequestro del costruttore Luciano Cassina, nel quale vengono implicati uomini della cosca di Giuseppe Calò.

A quel tempo il principale referente politico di Riina è il democristiano Vito Ciancimino, suo compaesano diventato sindaco di Palermo. Durante la latitanza la Belva si sposa con Ninetta Bagarella. Un matrimonio celebrato negli anni Settanta da un prete in odor di mafia: don Agostino Coppola. Ha quattro figli due dei quali, Giovanni e Giuseppe.

Gli anni ’80 sono segnati dalla seconda guerra di mafia: nella provincia di Palermo i boss dello schieramento che faceva capo a Riina uccidono oltre 200 mafiosi della fazione Bontate-Inzerillo-Badalamenti mentre molti altri rimangono vittime della cosiddetta lupara bianca. Tra gli omicidi attribuiti a Riina ci sono quello del segretario provinciale della Dc, Michele Reina, del fratello dell’attuale presidente della Repubblica, Piersanti Mattarella e del deputato del Pci Pio La Torre.

Il 30 gennaio 1992 la Cassazione conferma gli ergastoli del Maxiprocesso sancendo l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal pentito Tommaso Buscetta. Alcuni pentiti raccontano di rapporti tra Riina e alcuni rappresentati della politica, tra cui il democristiano Salvo Lima. Un pentito parla anche di un incontro con Andreotti, testimonianza ritenuta inattendibile nella sentenza del processo contro l’ex presidente del consiglio. Anche l’esistenza della trattativa tra stato e Cosa nostra sarà successivamente smentita, nonostante il processo sia ancora in corso.

Le deposizioni dei collaboratori di giustizia scatenano la ritorsione di Cosa nostra su precisa indicazione di Totò Riina, il quale autorizza i capofamiglia a eliminare i familiari dei pentiti “sino al 20esimo grado di parentela”, compresi i bambini e le donne. Riina si scaglia anche contro lo Stato, dalle bombe di Roma e Firenze, alle stragi di Capaci e via d’Amelio in cui moriranno Falcone e Borsellino.

Riina viene arrestato il 15 gennaio del ’93 dopo circa 23 anni di latitanza da una speciale squadra di carabinieri guidati dal capitano Ultimo. Dopo la cattura viene sottoposto al carcere duro, previsto per chi commette reati di mafia, il 41-bis, prima nel supercarcere dell’Asinara e poi in quello milanese di Opera.

Niente funerali pubblici – La Chiesa italiana alza la voce: nessun funerale pubblico per Riina. È “impensabile”, dicono i vescovi per un criminale che si è macchiato di delitti per i quali, come ha detto Papa Francesco, “c’è la scomunica”. “La Chiesa non si sostituisce al giudizio di Dio ma non possiamo confondere le coscienze”, ha detto il portavoce della Conferenza Episcopale Italiana, don Ivan Maffeis.