Nomina al Cyber crime, Carrai messo a bagnomaria. Renzi ancora indeciso

Nomina al Cyber crime, Carrai messo a bagnomaria. Renzi ancora indeciso

di Giorgio Ferrini

Continua il duro braccio di ferro sulla nomina di Marco Carrai alla guida di una struttura apposita contro la criminalità informatica. Il premier Matteo Renzi aspetta che si plachino le polemiche per piazzare nel cuore dello Stato l’amico di una vita, ma allo stesso tempo non vuole scatenare una guerra con i servizi segreti e con il suo sottosegretario Marco Minniti, gelosi delle proprie competenze e dei propri budget milionari. E sulla carriera pubblica dell’imprenditore e brasseur d’affaires fiorentino pesa anche il fatto di non aver conseguito  una laurea.

IL BIVIO – Sono passati oltre 40 giorni da quando Il Fatto Quotidiano ha svelato che Renzi voleva affidare a Carrai la poltrona di “Zar” della lotta al cyber crime. Un’intenzione subito confermata da Palazzo Chigi, che però invitava alla cautela sull’esatta organizzazione e configurazione giuridica della nuova task force. In particolare, il Presidente del Consiglio e i suoi più fidati consiglieri risultano  tutt’ora divisi su due modelli alternativi tra loro: un’agenzia con i poteri dei servizi d’informazione (soluzione preferita in primis  da Carrai) e un ufficio snello, alla diretta dipendenza del premier, con funzioni di “alta consulenza” e nessun inquadramento tra gli 007 (schema perorato dai vertici dei servizi segreti e dal sottosegretario Minniti). Questa profonda diversità di vedute ha scatenato una guerra sotterranea che ancora si combatte, anche a colpi di veline e “polpette avvelenate”. L’ultima? Quella che dava per certa la nomina in questo ruolo del generale della Guardia di Finanza Paolo Poletti, attuale vicedirettore dell’Aise, con Marco Carrai in veste di suo vice. Non che a Poletti manchino le competenze, ma è impensabile che Carrai accetti una posizione subordinata dopo esser stato preallertato per fare il numero uno.

IMBARAZZI – Al momento, le ipotesi più probabili sul campo sono due. La prima prevede appunto la “giubilazione” preventiva dell’uomo che affittava casa a Renzi, con però il suo rientro dalla finestra come fornitore della nuova struttura. In pratica, una sorta di compensazione economica. E’ noto, infatti, che Carrai ha una società che si occupa proprio di sicurezza informatica. La seconda ipotesi prevede l’ottenimento della tanto sospirata nomina, ma a questo punto senza le cosiddette “garanzie funzionali” di agente segreto. C’è poi un ulteriore aspetto che finora è restato sullo sfondo, ma che non è per nulla banale. La legge prevede che per assumere incarichi dirigenziali pubblici sia necessario un adeguato curriculum universitario, ovvero la laurea. Ma Carrai, 38 anni, ufficialmente risulta ancora perito, anche se non è da escludere che in questi ultimi tempi si sia laureato da qualche parte. Se fosse nominato ai vertici di un’agenzia pubblica, dei servizi o meno, il suo semplice diploma di scuole superiori potrebbe far scattare una censura della Corte dei Conti. Per Renzi sarebbe decisamente imbarazzante. Comunque vada a finire resta il fatto che la vicenda non è stata gestita molto bene da Palazzo Chigi, che ha fallito il blitz e ha scatenato un vespaio. Le opposizioni, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle in testa, continuano ad accusare il Presidente del Consiglio di voler “sistemare” ai servizi segreti un amico senza curriculum, addirittura per gestire informazioni sensibili.