Nomine e sentenze a tavolino. Così la P3 di Verdini si infiltrava nello Stato. Ecco le motivazioni nelle 302 pagine della sentenza dei giudici di Roma

Nomine e sentenze a tavolino. Così la P3 di Verdini si infiltrava nello Stato. Ecco le motivazioni nelle 302 pagine della sentenza dei giudici di Roma

Via il bollino “top secret” dalla sentenza sulla P3. I giudici di Roma hanno depositato le 302 pagine di motivazioni del verdetto che a marzo scorso ha messo fine ad una delle vicende più delicate della storia italiana. In quell’occasione il collegio aveva decapitato la loggia al cui vertice sedevano il faccendiere Flavio Carboni, l’imprenditore Arcangelo Martino e il giudice tributarista Pasquale Lombardi, quest’ultimo deceduto pochi giorni prima del dispositivo. Assolto dal reato associativo l’ex parlamentare Denis Verdini che in quello stesso processo veniva condannato a 1 anno e 3 mesi per il solo reato di finanziamento illecito. Obiettivo della P3, scrivono i giudici, era “inserirsi indebitamente nella formazione degli organi pubblici, allo scopo di orientare le decisioni” a loro più comode. Proprio come ci si aspetta da un’associazione di questo tipo, Carboni, Lombardi e Martino, lavoravano in comune accordo e nell’ombra. Una stabile relazione di interdipendenza che “non poteva essere percepibile da persone a loro esterne ed in particolare dai soggetti destinatari, di volta in volta, delle attività di interferenza”.

TUTTO SEGRETO
Per non dare nell’occhio i tre agivano individualmente, pur restando sempre in contatto, ognuno occupandosi “della propria sfera di competenza”. Proprio così anche quelle figure istituzionali vicine a Lombardi “tanto da affiancarlo in alcune iniziative ricadenti nello spettro di questo processo, non apparivano consapevoli del vincolo di stabile collaborazione” tra i tre leader. ‘Volontà di segretezza’ evidente dal ricorso a “schede telefoniche con intestatari di comodo”, dagli ammonimenti che si facevano l’un l’altro al fine di “esprimersi con maggior cautela ed evitare un linguaggio esplicito” e dall’incontrarsi “in luoghi anonimi e difficilmente controllabili, tra i quali le aree di servizio autostradali”. Ma in un caso, finito agli atti del processo, l’incontro avvenne in condizioni del tutto diverse. Era il 23 settembre del 2009 quando alcuni esponenti della P3 si riunivano a casa dell’onorevole Verdini, dando luogo non di certo “all’atto fondativo dell’associazione perché questa era già operante da tempo” ma sicuramente ad un episodio rilevante dove veniva formulato un manifesto programmatico della loggia. Nell’abitazione del politico “vennero individuate e messe a fuoco una serie di criticità riferibili alla formazione politica al governo e al presidente del consiglio Silvio Berlusconi, sulle quali si mobilitarono gli esponenti del gruppo”. Tra queste: “la scelta del candidato di centrodestra alla carica di presidente della giunta regionale Campana; il giudizio Mondadori/Agenzia delle Entrate; il giudizio di costituzionalità sul Lodo Alfano”.

L’INFLUENZA SUL CSM
La P3 aveva anche altre mire e voleva allungare la propria mano sul Csm così da orientarne le scelte nel conferimento di incarichi direttivi. Un mondo, quello della magistratura, impermeabile dagli esterni ma su cui Lombardi aveva un vero e proprio ascendente. Grazie a colloqui, visite e incontri sia con i componenti del consiglio che con altri esterni, “orientava le scelte dell’organo collegiale relative a posizioni di vertice di vari uffici giudiziari verso candidati graditi a lui o alle persone contigue”. Va detto che la P3 non sempre riusciva nei propri intenti. Ma, spiegano i giudici, “ai fini dell’integrazione del reato non si richiede né il compimento concreto di attività di interferenza, né tantomeno che tale attività raggiunga il risultato voluto”.