Non è un caso se l’Italia fa pochi figli. Per l’ex ministro Costa gli aiuti di Stato alle famiglie sono stati solo uno spot

Parla l'ex ministro Costa che accusa: "Da anni le politiche a sostegno dei nuclei familiari sono frammentarie. Il bonus bebè è l'ultimo esempio"

Di certo conosce bene le problematiche relative alle politiche messe in campo per le famiglie, quali i buchi, quali i margini, quali le promesse tradite. Fino a luglio 2017, d’altronde, Enrico Costa è stato ministro con ad hoc. E forse è anche per questo che, quando lo chiamiamo per analizzare i dati snocciolati ieri dall’Istat secondo cui nell’arco di 8 anni le nascite sono diminuite di oltre 100mila unità , non si dice sorpreso. “Non mi stupiscono questi dati”, dice. Ammettendo poi che “responsabilità politiche certamente ci sono e sono di tutti”.

In che senso, onorevole?
Qui parliamo di responsabilità complessiva e continuata del legislatore. Le politiche per la famiglia sono sempre state molto frammentarie. Ogni legge di bilancio negli ultimi anni ha previsto norme sperimentali, che duravano due-tre anni, mai strutturali e che poi inevitabilmente morivano.

Cos’è mancato allora?
È mancata la percezione che lo Stato fosse vicino alla famiglia, ai giovani genitori che volevano fare un figlio. Una vicinanza che invece deve palesarsi in ogni passo, dal momento in cui il bambino viene concepito, fino all’asilo nido, passando per la conciliazione tra vita familiare e lavorativa per la donna. È mancata la percezione nelle persone che se fai un figlio, hai il supporto dello Stato.

Crede che tale supporto sia mancato anche in questa legislatura?
Guardi, il caso del bonus bebè è emblematico: è la classica misura estemporanea. Ora pare diventerà strutturale ma con tagli importanti.

E parliamo solo dell’ultimo episodio di una serie…
Esattamente. Potrei farle mille esempi. Prenda il bonus baby-sitter: aveva una durata di due anni. Così tu non sai mai se sarai coperto o meno. C’è un’evidente assenza di misure strutturali, quando invece ne occorrerebbero di radicate nel nostro ordinamento.

C’è stato qualche tentativo in questo senso nell’ultimo periodo?
È quello che ho provato a fare presentando il progetto di un Testo unico per la famiglia, cercando di dare un corpo unico alle norme per le famiglie, appunto, e cercando di rendere più organici i provvedimenti. Così, dalla natalità all’assenza agli anziani, chiunque avrebbe potuto dire: “ok, io so che posso contare su queste norme”, non essendo più estemporanee.

E che fine ha fatto il progetto?
L’ho trasmesso alla presidenza del Consiglio, sotto forma di legge delega. Purtroppo, però, oggi non ci sono i tempi per giungere alla sua approvazione. Però adesso il progetto c’è ed io spero che nella prossima legislatura possa trovare la giusta strada per essere approvato.

Il punto, però, è che rimanendo spazio ad oggi solo per leggi che durano pochi anni, si potrebbe pensare che sono solo provvedimenti spot. Non pensa che ci sia questo rischio?
Ma certo, è proprio così. Ogni legge di bilancio, se si limita a misure del genere, estemporanee, è soggetta inevitabilmente a letture di questo genere. Invece occorrono norme strutturali e valide per sempre. Bisogna portare avanti una sorta di rivoluzione anche fiscale, ricollocando al centro il ruolo della famiglia.

Insomma, sulla famiglia anche questa legge di bilancio ha deluso?
Sì, assolutamente. Da questa legge di bilancio mi sarei aspettato di più. A partire, come le dicevo, da una maggiore attenzione anche dal punto di vista fiscale nei confronti delle famiglie.

Ultima domanda: dopo le sue dimissioni Gentiloni non ha assegnato la delega per la famiglia. Non pensa che sia segno di disinteresse?
Non credo, la questione è politica e tocca tutti, non solo Gentiloni. Diciamo così: sono state fatte altre scelte.