Non soltanto i vitalizi, agli onorevoli paghiamo pure la pensione. Il privilegio dei contributi figurativi: per due terzi a carico della collettività

Un esercito di 861 parlamentari mentre maturava il vitalizio continuava a costruirsi pure la pensione. A spese, in gran parte, dei contribuenti

Un esercito di 861 parlamentari. Appartenenti, come rivelato dal presidente dell’Inps Tito Boeri nella sua recente audizione dinanzi al Consiglio di presidenza del Senato, “a tutti i principali partiti e movimenti politici, nessuno escluso”. E che, tra il 2005 e il 2017, hanno richiesto, durante il periodo di aspettativa non retribuita dal proprio lavoro per espletare il mandato elettivo, l’accredito della contribuzione figurativa. Così, mentre maturavano (o maturano) il vitalizio tra gli scranni del Parlamento nazionale ed europeo o tra quelli dei Consigli e delle Assemblee regionali, hanno continuato a costruirsi pure la pensione. A spese, in gran parte, dei contribuenti.

Doppio assegno – Sia chiaro, tutto nel rispetto di una legge del 1999. Che, sia pur correggendo la precedente disciplina di sfacciato privilegio che poneva a carico della collettività l’intero costo dei contributi figurativi, consente ancora ai lavoratori dipendenti dei settori pubblico e privato di beneficiare in parte del vantaggioso meccanismo. Versando di tasca propria, per la durata del mandato elettivo, la quota di contributi a carico del lavoratore. Calcolata prendendo come base imponibile la retribuzione costituita dai soli elementi fissi e continuativi e variabile in base alla gestione di appartenenza. “Per le gestioni private, ad esempio, per l’anno 2017, si applica il 9.19%; per le per le gestioni pubbliche si applica l’8,85% – per gli iscritti alle casse enti locali – e l’8,80% – per gli iscritti alla cassa Stato”, chiarisce l’Inps interpellata da La Notizia. Più o meno un terzo del totale dei contributi. Ma chi paga la restante quota a carico del datore di lavoro? “Gli oneri corrispondenti alla contribuzione figurativa…, quota ente datore di lavoro, gravano sui fondi pensionistici amministrati dall’Inps e sono addebitati alle rispettive gestioni previdenziali”. Come ha ricordato lo stesso Boeri, “i contributi figurativi riconosciuti a questi parlamentari” nei 12 anni considerati, “ammontano in totale, a più di 30 milioni”. Un sistema che secondo il presidente dell’Inps, configura una vera e propria “asimmetria” tra il trattamento riservato agli eletti e quello previsto per i comuni cittadini. “La contribuzione figurativa a carico del datore di lavoro viene accreditata da Inps per i periodi di permanenza in Parlamento a condizione che il parlamentare versi la quota contributiva a suo carico – ha spiegato Boeri -. Ciò consente ai parlamentari di continuare a contribuire (o meglio, di farsi riconoscere i contributi) per la propria futura pensione anche se di fatto in quel periodo non svolgono la loro normale attività lavorativa in quanto impegnati in Parlamento (dove versano contributi ai fini di maturare il vitalizio)”.

Non ho l’età – Ma non è tutto. A proposito di asimmetrie, quello dei contributi figurativi non è il solo privilegio di cui i parlamentari continuano a godere. Anche dopo la delibera approvata alla Camera che ricalcola con il sistema contributivo gli assegni degli ex deputati (al Senato è all’esame un analogo provvedimento). Delibera che non ha toccato i requisiti anagrafici, decisamente vantaggiosi rispetto a quelli previsti per i comuni mortali, necessari per incassare il vitalizio. Se, infatti, ai cittadini sono richiesti almeno 20 anni di contribuzione e 66 anni e 7 mesi di età – 67 anni a partire dal 2019 – ai parlamentari basta una sola Legislatura (5 anni) per iniziare ad intascare il vitalizio (980 euro lordi al mese a partire dal 2012) a 65 anni. Età che scende ulteriormente di un anno, fino al limite dei 60, per ogni anno aggiuntivo di mandato svolto in Parlamento. Per fare un esempio, un ex deputato o un ex senatore che ha svolto due mandati pieni (10 anni) inizierà ad incassare il vitalizio (in questo caso circa 1.500 euro lordi al mese) non appena compiuti i 60 anni. Un bel vantaggio rispetto al trattamento riservato al resto dei contribuenti. Che con soli 5 anni di contribuzione (l’equivalente di una Legislatura) matureranno il diritto alla pensione solo a partire da 70 anni e 7 mesi di età, che saliranno a 71 anni a partire dal 2019. Contro i 65 dei parlamentari.