Parla l’ex console inglese Annells: riforme e libertà economiche, così Londra è uscita dalla crisi. Anche l’Italia può farcela. Ecco la ricetta: meno burocrazia e tasse a chi innova

In tre anni da console generale del Regno Unito in Italia, Vic Annells ha inquadrato potenzialità e freni del nostro Paese. Il grosso stock del debito pubblico e l’austerità sono fardelli pesanti, ma anche il Regno Unito solo pochi anni fa si è trovato ad affrontare analoghi problemi e dopo aver fatto le opportune riforme oggi viaggia a una velocità a cui guarda incredula mezza Europa. “Tutto sta nel fare buone scelte”, dice a La Notizia il diplomatico che ha appena lasciato l’incarico nel nostro Paese. Ed è chiaro che l’aspettativa internazionale sulle riforme che l’Italia sta facendo è alta.
Roma allora può ripartire come ha fatto Londra?
“Assolutamente sì. E linee guida come quelle fissate nel progetto Destinazione Italia sono molto interessanti”.
Debito, burocrazia, carenza di reti e infrastrutture non spaventano più gli investitori internazionali?
“Spaventano, eccome. Ma la percezione nel mondo economico è che si sia presa una direzione giusta”.
Il Regno Unito non era messo troppo bene solo pochi anni fa…
“Ma ha reagito. A proposito della burocrazia – un problema che non è solo italiano – il nostro premier sin dal suo insediamento promise che per ogni legge nuova approvata dal Parlamento se ne sarebbe cancellata almeno una precedente. Ecco, delegificare e semplificare sono due strade maestre”.
Se le chiedessi di indicarmi solo una tra idee vincenti per rimettere in moto l’economia britannica?
“La decisione di introdurre il Patent Box, una misura che consente alle imprese di pagare un’aliquota di tassazione inferiore sui proventi ottenuti, dopo l’aprile 2013, dai loro brevetti”.
In Italia marciamo con un potente freno tirato; le nostre tasse sono da capogiro…
“Nel Regno Unito si è fatta una scelta di campo: visto che non si poteva defiscalizzare tutto si è deciso di tagliare le tasse in modo significativo alle imprese che fanno innovazione. Il risultato è stata una spinta straordinaria verso i settori più competitivi. E questi sconti fiscali non sono stati dati solo alle imprese del Regno Unito, ma a tutte le imprese del mondo che venivano a sviluppare progetti nuovi da noi”.
Non avete fatto un regalo a tanti gruppi esteri?
“Il regalo l’abbiamo fatto a noi stessi, perché questi gruppi poi assumono e sviluppano il loro indotto nel Regno Unito. Per capirci, oggi abbiamo un Paese che nel mondo si crede senza più una propria industria automobilistica, ma in realtà ci sono almeno una decina di grandi case automobilistiche che producono proprio nel Regno Unito utilizzando moltissimi ingegneri, tecnici e maestranze. Così l’economia gira”.
In Italia la disoccupazione giovanile sfiora il 44%…
“Questo è un grandissimo problema, che anche il Regno Unito come Paese della stessa Comunità sente forte. Basti pensare all’iniziativa del Prince Trust, presentata di recente a Torino. Il Principe Carlo ha investito per finanziare progetti d’impresa di italiani in Italia. Noi in questo Paese ci crediamo”.
Non è un modo per contenere la massa di italiani che arriva ogni mese in tutto il Regno Unito? Solo a Londra oggi vivono mezzo milione di italiani…
“No. Creare business in Italia è una risorsa per gli italiani ma anche per l’Europa unita. E mettere a disposizione di una potenziale forza lavoro quegli stessi strumenti che troverebbero fuori significa favorire queste potenzialità enormemente. Pensi solo al disagio risparmiato con gli spostamenti”.
Un ex primo ministro definì i giovani italiani bamboccioni…
“Non entro nelle questioni politiche, ma essere giovani non è un alibi per lamentarsi mentre si aspetta un lavoro che non c’è”.
Molti giovani italiani vanno a Londra in cerca di fortuna e molti altri dopo un po’ tornano…
“Siamo felici quando un giovane si misura con l’Europa. E anche quando torna nel suo Paese d’origine, possibilmente con un bagaglio motivazionale come quello che può farsi nel Regno Unito o in diversi altri Stati dell’Unione”.
Se si tratta di investire, invece arrivano in Italia meno flussi di quelli che il Governo di Roma vorrebbe. Perché?
“I passi avanti ci sono, ma la burocrazia italiana scoraggia non poco. Capisco bene che fermare chi crea la burocrazia non è facile, ma è una partita decisiva. Perlomeno per attirare sempre maggiori investimenti in un Paese dalle mille opportunità come è l’Italia”.
E le libertà economiche? La trasparenza del mercato? Dal punto di vista di chi potrebbe investire in Italia diamo oggi sufficienti garanzie?
“Le libertà economiche e di concorrenza sono sempre la base di partenza. Negarle sarebbe come dire: No, grazie, non ci serve l’investimento di nessuno”.
Un segno tangibile dell’interesse di Londra a investire in Italia arriva dall’Expo…
“Sì, abbiamo investito con convinzione perché non vogliamo esporre solo le nostre eccellenze nel settore tematico dell’esposizione, il food e l’agricoltura, ma presentare una visione in senso più largo del sistema Regno Unito. Per condividere con tutti anche le nostre potenzialità”.