Piano antiviolenza al palo. I soldi sono spariti

Di Carmine Gazzanni

Il ritardo è innegabile, come ci dice anche Isabella Rauti, consigliere per le politiche di contrasto della violenza di genere al Viminale. Conseguenza, forse, anche delle dimissioni di Iosefa Idem prima e della staffetta Enrico Letta – Matteo Renzi poi. Fatto è che, nonostante le promesse e gli impegni del governo, siamo parecchio indietro sulla tabella di marcia per il contrasto alla violenza di genere. A dirlo, nero su bianco, è il dossier del Centro Studi della Camera. Il quadro è disarmanete: monitoraggio ancora a zero, analisi dei dati assente, relazioni promesse e mai (per ora) effettuate. E, soprattutto, soldi stanziati ma spesi solo in minima parte.

IL FINANZIAMENTO FANTASMA
Per il 2014 il governo avrebbe dovuto destinare ben 16,5 milioni di euro alla lotta contro la violenza di genere. Parliamo, nel dettaglio, di 10 milioni per il Fondo delle Pari Opportunità, più ulteriori 6,5 “destinati, nell’ambito del piano, al potenziamento delle forme di assistenza e di
sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso il rafforzamento della rete dei servizi territoriali”. Insomma, uno stanziamento ad hoc per i centri antiviolenza e per i servizi di assistenza.
Ad oggi, però, i soldi concretamente ripartiti sono pochissimi: le associazioni hanno beneficiato soltanto di 2,2 milioni. Sul monte complessivo dello stanziamento, parliamo di un mero 20%. E il restante 80? Nulla di nulla. È stato accantonato per “programmi futuri” (5,4 milioni) o per una non meglio specificata “programmazione” (8,8 milioni).

TANTE PROMESSE, POCHI FATTI
Ma non finisce qui. Anche sul piano del monitoraggio del fenomeno è un disastro. E non da ora. Il primo tentativo risale al 2010, quando viene adottato un Piano nazionale contro la violenza di genere che avrebbe dovuto portare, appunto, all’istituzione di un Comitato di monitoraggio, che nasce però solo due anni dopo, nel 2012. Peccato, però, che ad oggi “non sono noti i risultati delle attività del Comitato”. Per non parlare poi della raccolta dei dati. È addirittura la finanziaria del 2007 che aveva previsto l’istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere. Un Osservatorio, però, a cui “non è mai stata data attuazione”. A riprovarci, allora, è stato il governo dell’allora premier Enrico Letta con un decreto ad hoc dell’agosto 2013 (convertito in legge nell’ottobre dello stesso anno) tramite cui si prevedeva, tra le altre cose, un report annuale con analisi criminologica del fenomeno di cui avrebbe dovuto occuparsi il Viminale. Ma “nella relazione presentata il 27 dicembre 2013 dal Ministero dell’interno sull’ordine e la sicurezza non è presente la predetta sezione”. Ancora una volta.

di Antonio Acerbis

Isabella Rauti: “Il programma è in dirittura d’arrivo”

La promessa è che “il Piano antiviolenza diventi operativo entro l’anno”. Ha le idee chiare a riguardo la dottoressa Isabella Rauti, consigliere per le politiche di contrasto della violenza di genere al Viminale, che ha seguito e sta seguendo da vicino la questione. “I ritardi – dice a LaNotizia – sono oggettivi, è inutile negarlo. Purtroppo c’è stata una battuta di arresto imputabile, oltreché alle dimissioni della Idem, anche al cambio del governo che ha determinato una battuta di arresto”.
L’esecutivo, però, è al lavoro: “abbiamo creato, in collaborazione con gli enti locali e con la rete delle associazioni, diversi sottogruppi, tutti attivi in un determinato ambito e che hanno portato a dei risultati concreti. Si è insistito, ad esempio, anche sull’esigenza di portare avanti una battaglia di tipo culturale, a cominciare dalle scuole. Ora bisogna far sì che il Piano diventi sistematico ed organico. Entro quest’anno diventerà operativo”.
Un traguardo atteso da tanti e a cui la stessa Rauti crede fermamente. “Nel momento in cui il Piano partirà – continua – raggiungeremo un grande risultato perché, oggi, i problemi sono diversi e devono essere risolti. Il Programma, infatti, servirà anche per dare un quadro chiaro di tutte le associazioni operative sul territorio cosicché ci sia anche maggior monitoraggio del fenomeno”.

L’ESIGENZA DI UN MINISTERO
Il Piano, salvo sorprese, dovrebbe dunque avviarsi a una sua piena realizzazione. Intanto, però, Matteo Renzi, contrariamente ai suoi predecessori, continua a tenere per sé la delega alle Pari Opportunità. “Personalmente – dice la Rauti – penso che le Pari Opportunità dovrebbero tornare ad essere un ministero, anche perché negli ultimi anni le competenze si sono allargate enormemente, comprendendo non solo parità di genere, ma anche tutele antidiscriminatorie nei confronti di appartenenza etnica, disabilità, età, sesso. Un ministero credo sia necessario o quantomeno una delega in mano ad un viceministro. La mia, però, non è una critica all’operato del governo che si sta muovendo. E in modo efficace”.