Poteri forti in trincea sulle spoglie del Corriere della Sera. E spunta l’ombra del solito Vincent Bollorè nella battaglia sulla Rizzoli

Il vero regista dell'offerta di Cairo è Giovanni Bazoli. Ma Mediobanca fa muro e aspetta l'arrivo dei francesi con Bollorè

Forse non sarà Giovanni Bazoli, se non altro per motivi anagrafici, a fermare la travolgente campagna d’Italia di Vincent Bollorè, ma intanto gliela renderà difficile, almeno in campo editoriale. Perché se il finanziere bretone s’è messo in tasca Telecom Italia con relativa facilità, con l’aiuto della Mediobanca di Alberto Nagel, non è detto che accada lo stesso con Rcs-Corriere della Sera. Già, perché dietro la contrarietà di Piazzetta Cuccia all’offerta pubblica di scambio di Urbano Cairo, in molti a Milano giurano che in realtà ci sia proprio il patron di Vivendi, con Silvio Berlusconi di scorta.

LA VORAGINE – Il numeretto, anzi il numerone, che non si tiene mai sufficientemente in conto quando ci si occupa di Via Solferino è 487 milioni, ovvero l’indebitamento della società guidata da Laura Cioli. Tanto per capire, i soldi da restituire alle banche sono circa il doppio della capitalizzazione di Borsa e sono la metà del f atturato. Quasi il 90% di questa montagna è in capo a Intesa Sanpaolo e questo fa capire perché l’istituto guidato dal presidente Giovanni Bazoli e dall’ad Carlo Messina conti ben di più di quel 4% di azioni che controlla. Insomma, i numeri dicono che il ruolo giocato dall’ottantatreenne Bazoli sui destini del gruppo che edita Il Corriere della Sera non è solo quello del padre nobile. Un campanello d’allarme per Mediobanca, azionista al 9,9%, avrebbe dovuto suonare nelle scorse settimane, nel corso del negoziato di Rcs con le banche, quando la posizione più dura è sempre stata quella di Messina. Per dire, si è andati molto vicino alla richiesta formale di un aumento di capitale, che avrebbe messo in difficoltà una serie di azionisti che si affidano a Nagel. Poi, venerdì, il colpo di scena: si fa avanti Urbano Cairo e offre di rilevare l’intera Rcs dando in cambio azioni della Cairo Communication.

LA REGIA – Quello che colpisce è che l’advisor ufficiale del padrone de La7 è proprio Intesa Sanpaolo, che nei giorni scorsi, in assoluta riservatezza, aveva sondato i regolatori per essere sicura di non essere in conflitto d’interessi. Un incarico accettato per prendere delle (ricche) commissioni sull’Ops? Certo non fanno dispiacere le commissioni, ma qui è diverso. Qui ci sono due signori, Bazoli e Messina, che devono tutelare dei crediti, ma che soprattutto si sono stufati di veder lasciare andare Rcs lentamente in rovina. E per questo motivo hanno sondato vari protagonisti della finanza italiana, dai Rocca ad Andrea Bonomi, che hanno declinato l’offerta. Cairo invece ha detto sì e ora Intesa lo sosterrà in ogni modo.

Mentre Della Valle, che ha il 7,3%, non si è ancora espresso sull’Ops dell’editore alessandrino, Mediobanca ha sbarrato la porta, schierando con sé anche Unipol (4,6%), sommamente grata a Nagel per avergli consegnato su un piatto d’argento la Fonsai dei Ligresti. E anche China National Chemical Corporation, che ha in mano un altro pacchetto del 4,3%, sarebbe con Mediobanca. La partita in ogni caso sarà lunga, ma che cosa ha spinto davvero Intesa e Cairo a muoversi adesso? Ebbene, secondo quanto riferiscono fonti vicine all’operazione, Bazoli e Messina temono che Nagel voglia lasciare in qualche modo “depauperare” il gruppo editoriale, per poi consegnarlo al solito Bollorè, magari in coppia con Marina Berlusconi. E che cosa se ne farebbe il primo azionista Telecom di Rcs? Ci farebbe molto, perché il settore telefonico è intensamente regolamentato dallo Stato e un giornale di un certo peso fa molto comodo per trattare con la politica e non farsi aumentare il canone a tradimento, per dirne una.  Solo che il Corriere in mano a un francese è qualcosa di inimmaginabile per uno come Bazoli.