Presidenza della Camera, monta l’asse Lega-dem. Salvini: “Legge elettorale in una settimana, basta aggiungere il premio al Rosatellum”

Aspettando il Colle, i Cinque stelle hanno avviato le “consultazioni”. Non per il prossimo Governo, ma per cercare un accordo sulla presidenza delle Camere, primo snodo della legislatura. Ma mentre i capigruppo designati dal M5s incontrano i leader delle forze politiche, è quello della Lega Matteo Salvini a prendere in mano le redini del gioco. Da un lato si muove garantendo che il suo obiettivo è formare un Governo di Centrodestra; dall’altro parla con Luigi Di Maio e cerca di tenere a bada Silvio Berlusconi che si fida sempre meno del primo azionista della coalizione. Il collante della strategia leghista è il continuo ventilare un ritorno al voto in tempi rapidissimi. Strategia, questa, tenuta sotto stretto controllo dal Quirinale.

Oggi la formazione di un Esecutivo sembra lontanissima: si è iniziato a parlare delle presidenze delle Assemblee e non sarà facile trovare la quadratura del cerchio. I Cinque stelle hanno chiesto la Camera ma forse la vera preoccupazione è che la guida di Montecitorio possa andare al leghista Giancarlo Giorgetti, non a caso soprannominato il Gianni Letta della Lega. Uomo silenzioso e dialogante, molto – troppo per alcuni – con il Pd. E la sola idea innesca retropensieri che portano a un Governo a trazione leghista con l’appoggio Dem. Meglio essere prudenti, ragiona l’M5s. Berlusconi è convinto che l’impasse sulle presidenze delle Camere possa contribuire a rimescolare le carte, aprire nuovi scenari e allontanare lo spettro del ritorno anticipato alle urne.

E se il Cav non rinuncia a voler tenere aperta la porta al dialogo con i Cinque Stelle, FI chiede che non si rinunci ad ottenere la presidenza di uno dei due rami del Parlamento. Nel mirino c’è palazzo Madama, scranno su cui l’ex premier vorrebbe piazzare Paolo Romani. Il presidente dei senatori di FI gode di un consenso trasversale a differenza di uno degli altri nomi in pole, quello di Roberto Calderoli. Paure e sospetti comunque non frenano il dialogo che è stato avviato. Tutte le forze politiche hanno concordato sul metodo imposto da Di Maio e Salvini: si lavora solo sulle presidenze delle Camere. Al Governo ci si penserà dopo. Ma mentre il Pd resta defilato pur partecipando alla girandola di incontri, si nota come il Centrodestra si presenti alla spicciolata dando un’immagine plastica delle difficoltà interne. Ieri è stata Giorgia Meloni ad escludere un accordo con l’M5s, confermando così che questa ipotesi resta forte sul campo. Anche se Carlo Calenda fa sapere che il vero leader è Paolo Gentiloni, i Dem sono costretti a restare alla finestra ben sapendo però di essere numericamente il secondo partito dello scacchiere.

Infatti quando le trattative prendono corpo si tende a dimenticare l’importanza dei numeri. Cosa che non accade al Colle. Sergio Mattarella aspetta maturazioni, dando campo ai partiti ben sapendo che in questa fase non ci sono elementi da prendere sul serio. In questi tre anni ha mostrato linearità di pensiero e pochissima voglia di protagonismo. Non deve stupire quindi che resti fermo su due concetti: fare di tutto – senza forzare – per tentare di dare un Esecutivo al Paese; governerà chi gli dimostrerà di avere il 50% più uno dei voti. Ovvio che un ritorno al voto certifichi una profonda crisi politico-istituzionale. Ma il dovere di un presidente è dare un Governo al Paese.

Allora il quesito è inevitabile: cosa succederebbe se Salvini e Di Maio si accordassero – come ha ripetuto anche ieri il leader della Lega – per un Governo a eutanasia programmata solo per modificare il Rosatellum con un forte premio di maggioranza? Semplice: nuove consultazioni per verificare se esiste un’altra maggioranza – ad oggi ce ne sono diverse – e solo in caso di fallimento nuove elezioni.