Processi infiniti, per Geronzi e Arpe nuove condanne. I banchieri accusati di aver costretto Parmalat a comprare le acque Ciappazzi strapagandole

di Carola Olmi

Gli avvocati del banchiere Matteo Arpe hanno presentato la richiesta di una revisione dell’intero processo. Intanto però la giustizia fa il suo corso (lentamente) e arriva una nuova condanna in appello sia per l’ex direttore generale di capitalia, Arpe appunto, che per l’allora dominus incontrastato della stessa banca, Cesare Geronzi. La vicenda è la cessione delle acque Ciappazzi, un filonde le crac Parmalat. Per Geronzi la condanna è di quattro anni e sei mesi, mentre Arpe si ferma a tre anni e sei mesi. A deciderlo è stata la seconda sezione penale della Corte di Appello di Bologna dopo che la Cassazione aveva disposto di rivedere al ribasso le pene per la prescrizione e la riqualificazione di alcuni reati.

Il primo appello aveva confermato le decisioni del tribunale di Parma: il 29 novembre 2011 Geronzi era stato condannato in primo grado a cinque anni per bancarotta e usura; per Arpe c’era stata una condanna per bancarotta a tre anni e sette mesi. La Cassazione per Geronzi aveva annullato senza rinvio la sentenza per la parte sull’usura. Entrambi nell’appello bis hanno avuto assoluzioni per parti di imputazioni. Sono state inoltre rideterminate le pene per altri quattro manager bancari imputati con Arpe e Geronzi: tre anni e tre mesi per Riccardo Tristano, tre anni e due mesi per Roberto Monza e per Antonio Muto, due anni e due mesi per Eugenio Favale. In teoria anche queste nuove determinazioni della corte potrebbero essere oggetto di impugnazione per l’entità della pena.