Quanto pesa il sistema pensionistico sulla nostra economia? Ecco i dati delle indagini campionarie sui bilanci delle famiglie italiane

L’alta spesa previdenziale italiana rappresenta il principale vincolo a cui è sottoposta la nostra economia. A rilevarlo è una ricerca effettuata da Michele Liati e pubblicata dal Centro Studi ImpresaLavoro. Nel suo report Liati analizza i dati delle indagini campionarie sui bilanci delle famiglie italiane (IBF), condotte dalla Banca d’Italia dagli anni ’60 ad oggi. L’andamento dei redditi (al netto dei prelievi fiscali e contributivi) segnala come i redditi delle persone sopra i 64 anni di età siano cresciuti continuamente, così come i redditi tra i 55-64 anni fino al 2011, mentre gli altri redditi hanno seguito le diverse fasi dell’economia.

Dal 1977 al 1989 vi è stata, quindi, una fase di crescita generale dell’economia e dei redditi, dal 1989 al 1995 un periodo di crisi, dal 1995 al 2006 una generale ripresa, e infine la crisi attuale, con i redditi che sono iniziati a calare già dal 2006. Secondo l’analisi di Liati i redditi delle classi più anziane, determinate principalmente dai redditi pensionistici, hanno costituito per le fasi di ‘recessione’ un ‘vincolo’ importante: quando l’economia rallentava, e quindi i redditi calavano, la riduzione dei redditi non pensionistici è stata più marcata mentre il potere di acquisto dei redditi pensionistici è rimasto identico. È in queste fasi che risultano ben evidenti gli effetti della ‘ridistribuzione’ operati dal sistema pensionistico. Questo fatto può essere meglio evidenziato se analizziamo le differenze (assolute e percentuali) cumulate nei diversi periodi indicati.

Nella prima fase i redditi crescono per tutte le classi, ma, in percentuale, in maniera già più marcata per gli anziani. Nella fase di crisi tra il 1989 e il 1995, ecco operare il “vincolo pensionistico”: tutti i redditi dei ‘giovani’ si riducono sensibilmente, quelli dei più anziani crescono o restano uguali. Nella terza fase di recupero dell’economia, tutti i redditi tornano a crescere, ma in maniera progressiva secondo la ‘anzianità’. Nell’ultima fase, ecco di nuovo il vincolo: i redditi degli over 64 continuano a crescere, tutti gli altri si riducono di molto (si noti che in questo caso calano anche quelli della classe 55-64; non è difficile spiegare questo calo anche col progressivo innalzamento dell’età pensionabile, specialmente per la più recente riforma Fornero).

Non si tratta di un esito ovvio: i redditi pensionistici sono certamente redditi differiti e dipendono in buona misura dalle condizioni passate dell’economia e in particolare dai redditi che i pensionati avevano quando lavoravano. Tuttavia, in un sistema pensionistico pubblico a ripartizione, sarebbe riduttivo fermarsi a questo dato: le pensioni in essere sono pagate dai contributi degli attuali lavoratori ed è ovvio che deve esserci equilibrio tra pensioni erogate e contributi versati e quindi, giocoforza, tra spesa previdenziale e andamento dell’economia.

È questo un principio che è sempre mancato al sistema pensionistico italiano, a differenza di altri sistemi, che hanno ugualmente utilizzato sistemi retributivi e a ripartizione senza gli stessi pesanti effetti (si pensi alla Germania dove la crescita delle pensioni è sempre stata legata alla crescita delle retribuzioni, e da oltre un decennio, direttamente a quello della massa contributiva).

Gli effetti sono quelli che sono stati evidenziati: i momenti di crisi, pur ‘naturali’ in qualsiasi economia, sono stati ‘amplificati’ per alcune classi, per via del ‘vincolo pensionistico’. Un effetto che rischia di essere ancora più pesante in futuro se non si riuscirà a rendere sostenibile nel lungo periodo il nostro sistema previdenziale, liberando l’economia italiana da questo pesante vincolo.