Quei pianisti poco onorevoli che non lasciano impronte

di Francesco Nardi

Si chiamano pianisti, ma non sono virtuosi degli ottantotto tasti bianchi e neri. Il nomignolo è stato affibbiato a quei nostri parlamentari, particolarmente disponibili nei confronti dei colleghi che si allontanano dall’aula, per i motivi più diversi, durante le spossanti sedute di votazione. Non è certo una novità perché ogni legislatura conosce i suoi “pianisti” abituali, sempre pronti a votare per il vicino di banco che lascia sguarnita la postazione. Al punto il fenomeno si era diffuso che nel 2008 si è dovuto correre ai ripari integrando il complicato sistema del voto elettronico con un lettore delle impronte digitali. Problema risolto? Teoricamente sì, ma c’è una nutrita frangia di parlamentari cui l’idea di depositare le proprie impronte riesce particolarmente indigesta. Intanto l’operazione è costata 450 mila euro che sono serviti a installare il lettore delle cosiddette “minuzie”, ovvero i 18 punti dell’impronta che viene poi memorizzata nel microchip della tessera di ogni deputato.
Nella scorsa legislatura l’adesione è stata quasi unanime e solo una sparuta minoranza esercitò il diritto (che resta comunque riconosciuto agli eletti) di non farsi schedare il polpastrello. Incise sull’adesione di massa, evidentemente, il fatto che la polemica sulla questione dei pianisti fosse all’ordine del giorno. Ma ora se ne parla molto meno e infatti il numero dei deputati che hanno scelto di non depositare l’impronta è sensibilmente cresciuto. Facendo ovviamente eccezione per quei deputati che per motivi di invalidità si sono astenuti, si arriverebbe al numero di 57 onorevoli.

Chi vota col vecchio sistema
A quanto risulta a La Notizia i deputati di Pd e M5S hanno seguito alla lettera l’ordine di scuderia di depositare le “minuzie” digitali. Mentre a snobbare il nuovo sistema di voto è stata la maggioranza dei deputati del gruppo Lega Nord Autonomie, ben 13 su venti. E altrettanto hanno fatto otto deputati del gruppo di Fratelli d’Italia. E così anche 35 su 97 eletti del Popolo della Libertà.
Tra i dissidenti non sono pochi i nomi eccellenti, molti dei quali non sono esordienti. Nel gruppo del Pdl il tema ha tenuto banco in seno al gruppo, sostenuto da una pattuglia di parlamentari fermamente contrari a quella che è stata considerata come un’inammissibile aggressione della privacy. Tra chi al momento non avrebbe ancora depositato l’impronta, che comunque non rappresenta automaticamente l’intenzione di volerne approfittare durante le votazioni, spuntano anche molti ex ministri. è il caso ad esempio di Michela Vittoria Brambilla, ex titolare del ministero del Turismo, e del già ministro della Difesa Antonio Martino. Stessa scelta risulta abbia operato anche l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan. Il problema non si pone per il neo ministro delle Politiche Agricole Nunzia De Girolamo, ma in ogni caso l’esponente del Pdl aveva già optato per evitare di depositare le sue impronte. La procedura è risultata particolarmente indigesta ai componenti del gruppo di Fratelli di Italia, non a caso sia Giorgia Meloni che Ignazio La Russa risulta abbiano scelto di non adeguarvisi. E così molti altri, come il fedelissimo del Cavaliere Valentino Valentini, Stefania Prestigiacomo e Luigi Cesaro.

@coconardi