Questo governo non va. Per il lealista Sisto ha il bollino rosso del Pd

di Vittorio Pezzuto

«Più che falco mi considero un lealista. Non ho l’animo del predatore, piuttosto mi riconosco una solida base etica» dice Francesco Paolo Sisto, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera. Da buon avvocato è abituato a misurare le parole, ben sapendo che non è la pacatezza dell’eloquio a togliere forza ai concetti espressi. Gli chiediamo allora se in queste ore qualcuno nel Pdl si stia distinguendo per l’assenza di gratitudine, un sentimento che peraltro quasi mai trova diritto di asilo in politica. «È possibile. Però mi consolo osservando che alle responsabilità per fatti religiosi ci pensa il Padreterno, a quelle penali i giudici e a quelle politiche gli elettori. Credo che nessuno di noi debba dimenticare che è stato unicamente per merito di Berlusconi se alle ultime elezioni abbiamo ottenuto quasi 10 milioni di suffragi. Ecco perché mi sembra assai discutibile che si possa assistere in prima fila allo spettacolo miserevole della sua estromissione dal Parlamento, indugiando nella difesa di un rapporto con compagni di strada così improbabili. Sa cosa mi preoccupa di più?».
Dica.
«Che dobbiamo misurarci ogni giorno con un evidente scollamento tra questo governo e il Parlamento. Il primo propone, il secondo scompone. D’altronde il governo Letta non ha mai partorito progetti esecutivi, limitandosi all’enunciazione di obiettivi indefiniti, generici e incompleti. Tutti i suoi provvedimenti vengono stravolti perché il Partito democratico non rispetta minimamente le indicazioni delle larghe intese. Lo scollamento c’è anche tra governo e partito. E purtroppo nel Pd tutti vogliono presentarsi al congresso con in mano ciascuno un pezzo della testa di Berlusconi. Tanto, sostengono, lui non c’entra niente con questo governo: un falso ideologico bello e buono».
I vostri ministri si oppongono a una rottura delle larghe intese.
«Senta, non conta stare al governo. Conta come ci si sta. Non si può difendere un esecutivo a prescindere, indipendentemente dalle sue scelte. Se decapita il nostro leader e massacra il Paese con nuove tasse, dai nostri elettori non può ricevere applausi ma soltanto fischi».
Ma così l’alternativa non rischia di essere quella di un governo ostile al Pdl, che prepari il trionfo elettorale di Renzi?
«Affatto. L’alternativa che vogliamo è conservare comunque un Dna coerente, un’identità biologica precisa. Se pur di stare al governo ci mostriamo subalterni alla sinistra l’unico risultato che otteniamo è quello di perdere consenso e appeal elettorale. Dobbiamo restare noi stessi. Il nostro è un apporto di responsabilità del centrodestra in un momento eccezionalmente difficile per il Paese ma i provvedimenti devono essere concordati, non possono avere tutti il bollino rosso del Pd. Le larghe intese vanno fatte a monte e non subìte a valle».
Difficilmente il vostro consiglio nazionale di sabato sarà una festa.
«Probabile, ma sono sicuro che non sarà nemmeno una resa dei conti. Mi auguro solo che vi vogliano partecipare tutti, se non altro per non mancare di rispetto al nostro presidente. Rinunciando a far valere la loro opinione, gli assenti vanno infatti sempre dritti dalla parte del torto. Poi è normale che vi sarà un confronto aperto tra posizioni diverse: sarà uno stare insieme utile per il bene del partito. Alla fine, com’è naturale ci si rimetterà nelle mani del nostro leader e si deciderà una linea politica comune. Sono meccanismi usuali negli altri partiti, non vedo cosa ci impedisca di fare altrettanto. Per questo mi ostino a ritenere che l’ipotesi di una scissione appartenga alla fantapolitica. Gli stessi rapporti personali tra tutti noi non sono così logorati come si legge sui giornali. Resto quindi ottimista. Sabato Berlusconi verrà riconosciuto come nostro unico leader e dipende dal buon senso degli amici governativi che il passaggio verso Forza Italia avvenga serenamente e con un consenso totalitario».
In cosa questo nuovo soggetto politico dovrà distinguersi dal Pdl?
«Se potessi usare un apparente paradosso, vorrei che si presentasse come un nuovo partito storico. Mi auguro insomma che sia in grado di rivitalizzare quelle capacità propulsive e identitarie del centrodestra che la partecipazione a questo governo ha leggermente appannato. Perché il mio grande timore è che la sia pur necessaria esperienza delle larghe intese alla fine depauperi la nostra cultura politica. Essersi innestati in questo meccanismo innaturale può portare a una sorta di esecrabile assuefazione. Dobbiamo evitarlo».