Qui o si fa il lavoro o si muore

Giornata di incontri per il premier Matteo Renzi. Prima i sindacati, poi i rappresentanti delle imprese. Nel frattempo arriva la notizia che l’Aula del Senato, che ha all’esame il Jobs act, riprenderà i lavori alle ore 16.

Intanto per Susanna Camusso l’incontro si è concluso con un nulla di fatto. “L’unica vera novità dell’incontro di oggi è che ci saranno altri incontri. Le altre sono cose note”. Secca il leader della Cgil, che sottolinea come questo che questo sia il primo incontro nei primi sette mesi di questo Governo. La Cgil conferma “il giudizio negativo sul modo in cui si sta componendo l’intervento sul lavoro”, il Jobs act, ed il “totale dissenso” sulle modifiche all’articolo 18. “Trovano tutte conferma” le necessità e le ragioni della manifestazione nazionale della Cgil del 25 ottobre.

Diverso l’atteggiamento di Uil e Cisl. Per entrambi l’incontro è stato positivo. Per Angeletti “ha forse più una valenza politica che sostanziale, se poi la sostanza ci sarà lo vedremo in concreto”. Il presidente del Consiglio ”ha fatto una scelta simbolicamente diversa, in discontinuità con i mesi precedenti”, ha aggiunto Angeletti. “Siamo di fronte a un cambiamento dell’atteggiamento del Governo rispetto alle parti sociali”. Una tesi, questa, sostenuta anche dal segretario generale aggiunto della Cisl, Anna Maria Furlan che ha parlato di un momento “di svolta” nelle relazioni tra Governo e parti sociali, in riferimento anche ai nuovi incontri già previsti con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e con il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti sulla legge di stabilità e sulla riforma del Lavoro.

di Lapo Mazzei e Sergio Castelli

Piaccia o no, sul Jobs Act il governo ha chiesto il voto di fuducia. Su quale testo però ancora non è chiaro. Pare che il testo del Senato debba essere emendato da un testo del governo. E se l’ex segretario Pier Luigi Bersani la scorsa settimana aveva rassicurato sulla propria lealtà per il voto finale in Aula sulla riforma del mercato del Lavoro, altrettanto non può dirsi per larga parte della minoranza del Partito democratico. Lo scontro è ormai totale e ora per il premier Matteo Renzi inizia la conta per riuscire a ottenere i numeri necessari a far passare il provvedimento alla prova del Senato. Perché è a Palazzo Madama che si gioca la vera partita e dove l’esecutivo rischia grosso senza un sostegno compatto da parte dell’opposizione interna del Pd. Che nelle ultime ore è uscita alla scoperto.

IL NODO DA SCIOGLIERE
Una vera e propria prova di forza da parte del governo che però ha fatto sgranare gli occhi alla minoranza del Pd che, invece, respinge è pronta alle barricate al fine di tutelare il dibattito interno al partito. Stefano Fassina, senza giri di parole, ha recapitato un messaggio forte e chiaro a Renzi: “Se la delega resta in bianco è invotabile e con la fiducia conseguenze politiche”. Ma il cinguettio via Twitter dell’esponente della minoranza del Pd non ha fatto cambiare idea all’esecutivo. E se altre voci dovessero aggiungersi a quella di Fassina nascerebbero davvero i problemi per il futuro di questo governo. Anche perché il consigliere politico di Forza Italia, Giovanni Toti, ha già chiuso la porta a Renzi sostenendo che da parte degli azzurri non ci sarà alcuna fiducia per porre rimedio agli eventuali franchi tiratori.

BAGARRE
Il voto in Aula non ci sarà prima di mercoledì. Alla fine la sensazione è che gli esponenti del Pd si allineino votando la fiducia al gov erno. Ma il caos è tale che di certezze non ce ne sono affatto. Il lettiano Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera, rassicura sulla tenuta dei democrat in tema di riforma del lavoro e superamento dell’articolo 18 sostenendo che finirà che “il Pd voterà questa delega, ma il problema di fondo non lo risolviamo screditando la rappresentanza sindacale. Con l’attuazione di quella delega, prima devi recuperare le risorse, e quindi cancellare le casse integrazioni esistenti, e poi creare la nuova Aspi o come si chiamerà”. Ma aggiunge che “l’importante è che sia chiaro sapere chi ha deciso. Se questa è la terapia per uscire dalla deflazione, modifica dell’articolo 18 e Tfr in busta paga, sono preoccupato, vedo il muro davanti”, ha continuato Boccia, “Poi io sono uno di quelli che, se la maggioranza del partito vota una linea, voto secondo quella linea. Ma deve essere chiaro chi ha deciso”. Insomma, se devo suicidarmi voglio sapere chi lo ha deciso.

Sindacati dal premier, ma è muro contro muro

Dialogo o rottura? Avanti tutta o frenata dolce? E, soprattutto, lavoratori imprenditori? Il pendolo di Palazzo Chigi, almeno in queste ore, non sembra essersi fermato e soltanto la giornata di oggi potrebbe sciogliere i nodi venuti al pettine con la dura battaglia sulla riforma del lavoro. E se il premier, Matteo Renzi, ha la necessità di presentarsi all’appuntamento europeo con delle carte in mano da poter vendere ai partner, i sindacati non possono certo perdere la faccia con i loro iscritti. E così, fra dichiarazioni d’intento e minacce nemmeno tanto velate da parte della minoranza del Pd, oggi il premier vedrà alle 8 i sindacati e alle 9 le imprese. Ma a increspare un rapporto già complicato tra governo e parti sociali c’è anche la decisione arrivata nella serata di ieri da parte di Palazzo Chigi che ha deciso porre la fiducia sul Jobs act.

CGIL FUORI DAL MONDO
Alla vigilia dell’incontro si è svolto a Roma il vertice sindacale europeo. Ed è proprio in questa sede che la leader della Cgil, Susanna Camusso, è tornata a puntare il dito contro il premier. “Il sindacato italiano”, ha detto il segretario generale della Cgil, “è stato sempre pronto al confronto con il governo, ma è anche pronto al conflitto, a contrastare politiche ritenute sbagliate”. La Camusso ha ribadito un concetto già espresso nei giorni scorsi: l’atteggiamento di rifiuto di dialogo sociale e di confronto che ostenta a suo dire il governo ha un unico precedente in Europa, “quello di madame Thatcher”. E sull’incontro di oggi ha sostenuto che la speranza è di un serio ripensamento “perché invece l’idea del Jobs act è di diritti poco estesi in cambio di una riduzione dei diritti per chi ha un lavoro stabile”, accompagnata ad una politica di “ridimensionamento salariale”. L’Italia, ha aggiunto la leader sindacale, ha invece bisogno che si proceda alla cancellazione della precarietà e a investimenti nel lavoro. “La preoccupazione”, ha sottolineato la Camusso, “è che l’idea del governo sia invece di voler decidere i confini dell’azione sindacale, restringendola alla sola contrattazione aziendale. Se così fosse lo interpreteremmo come un esplicito attacco alla contrattazione tra le parti e all’autonomia del sindacato”. Insomma la posta in palio non sono solo e soltanto l’articolo 18 o il Tfr in busta paga ma la definizione dei ruoli dei due attori campo. I sindacati, la Cgil in modo particolare, non si rassegnano all’idea di diventare delle comparse nel contesto delle trattative sul lavoro, essendo stati per anni il dominus di ogni scelta politica. I sindacati sono sul piede di guerra, sia la Fiom, la Cgil ma anche la Cisl hanno programmato manifestazioni di piazza entro la fine del mese di ottobre contro le politiche del Welfare dell’esecutivo.

TEMPI STRETTI
D’altro canto va detto che il ricorso alla fiducia da parte del governo potrebbe essere stato giustificato con la volontà del premier di far votare dal Senato il Jobs act prima del vertice europeo sul lavoro, in programma domani. Il rapporto con l’Europa, in questo particolare momento storico, pesa di più del ruolo dei sindacati.