Renzi esce allo scoperto e punta al vertice: “Se si rivota, pronto per Palazzo Chigi”

di Lapo Mazzei

Che poi se lo vedi a Porta a Porta, dove riesce ad incantare anche Bruno Vespa, ti viene naturale dargli ragione. Perché Matteo Renzi riesce a porgere le cose più dure con estrema morbidezza. Prendete la storia dell’Imu, per esempio. Nello stesso giorno il grillino del Pd riesce a dire che l’abolizione della odiata tassa sulla prima casa è una cambiale pagata a Silvio Berlusconi, mettendo in mora il governo guidato da Enrico Letta, salvo poi ribadire nel salotto del giornalista della Rai che fra lui è il premier c’è un rapporto di grande amicizia basato sulla lealtà e la stima reciproca. Figuriamoci se fosse il contrario cosa poteva accadere.

Ma il nodo, quello vero, è che la strategia di Renzi non mira affatto a sostenere il governo in carica, bensì a farlo cadere il prima possibile. Un esecutivo dalla vita lunga, anche se difficile e altalenante, rischia di far finire Renzi in quel cono d’ombra che il primo cittadino del capoluogo toscano vive come una iattura. Una sorta di discesa all’inferno senza passare dal Purgatorio. La ragione la spiega lo stesso Renzi in una intervista a “Chi” in edicola oggi. Sul piatto, ufficialmente, c’è la ricandidatura a sindaco di Firenze, che dovrà essere ufficializzata tra sei mesi, visto che si vota ad aprile del prossimo anno. “Sempre che non si verifichino le condizioni per”… Per correre per Palazzo Chigi? “Esatto”. Eccolo qua il nodo renziano che rischia di strozzare il Pd, inchiodando i democratici sulla poltrona tenuta ferma dal Pdl, quale unica speranza di sopravvivenza. Perché la traduzione letterale di questo lessico renziano è estremamente chiara. Se sarò rieletto non posso fuggire da Palazzo Vecchio nel caso in cui dovessimo andare al voto oltre la soglia delle amministrative fiorentine del 2014. Ma se il governo dovesse cadere prima, allora tocca a me. Letta, più che da Berlusconi e berluscones, deve guardarsi da Renzi e dai renziani, esperti come pochi di fuoco amico e suoi derivati. Sarà pure un caso, o intelligente comunicazione politica, ma se il Cavaliere ieri ha sentito il bisogno di rimarcare che la sospensione dell’Imu non è una “cambiale, in nessun modo”, una ragione ci sarà. “L’Imu è stata una tassa imposta dai tecnici, ingiusta e dannosa” ha spiegato l’ex presidente del Consiglio. Parole che si accoppiano con quelle pronunciate l’altro giorno da Guglielmo Epifani, segretario del Pd, alla ricerca di quella unità dei democratici messa a rischio da “un semplice starnuto”. E siccome un indizio più un indizio non fanno una prova ma rendono l’idea, è logico suppore che nessuno dei due azionisti della maggioranza vuole dare una mano a Renzi. Occorre inchiodarlo a Firenze fissando l’Arno come linea Gotica.

Modesto flash back a vantaggio dei distratti. Quando la scorsa settimana Renzi e Letta si sono incontrati per accordarsi sulle delicate regole di convivenza, tra chi deve gestire la coabitazione precaria e complicata con il Pdl al governo e chi può permettersi di fare il battitore libero, slegato dalle necessità diplomatiche delle larghe intese, entrambi sapevano in cuor loro che la questione non sarebbe stata tanto semplice. Troppo diversi gli obiettivi dei due in questa fase e dunque difficile, per il premier, credere che quell’accordo di non belligeranza facilmente strappato al sindaco di Firenze sarebbe stato pienamente rispettato. Letta ha cercato fin dall’inizio del suo mandato di creare una linea Maginot che difendesse il governo dagli attacchi dei falchi della stessa maggioranza politica che lo sostiene. Una separazione tra partiti e governo che lasciasse sfogare all’esterno le polemiche politiche, nella speranza che le difficoltà di natura programmatica potessero essere mediate nel sicuro serraglio dell’esecutivo. Non è andata così.
Le parole con le quali Renzi dichiarava di “voler dare una mano” al governo sono già un ricordo.