Renzi medita la resa nel Pd: con il congresso addio voto. Ma così potrebbe riprendersi il partito

Un altro cedimento alle richieste degli avversari. Matteo Renzi sta infatti meditando un’apparente resa. Una mossa che in realtà cela una strategia.

Un altro cedimento alle richieste degli avversari. Matteo Renzi sta infatti meditando un’apparente resa. Una mossa che in realtà cela una strategia: andare alla conta nel partito per riprendersi la leadership. Mettendola al riparo da qualsiasi agguato. Il segretario del Pd sta perciò valutando di rinunciare definitivamente al sogno delle elezioni anticipate, da tenere possibilmente a giugno, accettando la sfida del congresso. La mossa sarà svelata nella direzione nazionale in programma lunedì 13 febbraio: se l’ex premier rassegnerà le dimissioni dalla guida del partito, il percorso sarà segnato. Il capogruppo alla Camera, il franceschiniano Ettore Rosato, ha usato il bilancino nelle affermazioni: “Vedremo, non roviniamoci la suspense”. Tutt’altro tono invece quello dell’ex candidato alle primarie, Gianni Cuperlo, che ha accolto positivamente la possibile svolta renziana: “Se il dado è tratto io dico bene il Congresso. L’ho chiesto dal 5 dicembre convinto che di fronte alle sconfitte subite e ai problemi di milioni di persone il Pd doveva restituire a iscritti, militanti, elettori pensiero e parola”.

Unico leader – Il terreno è stato sondato dai renziani di ferro presenti in Parlamento. “Mi auguro che nel Pd si vada velocemente a un Congresso. Renzi è sicuramente il leader più in sintonia con il nostro popolo”, ha twittato il senatore Andrea Marcucci. La deputata Alessia Morani ha addirittura proposto l’hashtag #congressosubito. “Ma perché non facciamo davvero il Congresso? Vediamo con chi sta la nostra gente”, ha cinguettato su Twitter. Così pure l’eurodeputata Pina Picierno ha colto la palla al balzo e ha rilanciato: “Vediamo con chi stanno iscritti e militanti”. Un tam tam social quasi minaccioso nei confronti della sinistra dem. Ma soprattutto una conferma del fatto che Renzi abbia voluto valutare i consigli dei suoi. Che sono propensi ad affrontare gli avversari interni a viso aperto per conquistare una vittoria importante. E dettare quindi la linea con la forza dei numeri. Certo, un traguardo pagato a caro prezzo: le elezioni sarebbero da mettere in calendario nel 2018. D’altra parte la mossa è quasi forzata, vista la resistenza del partito del non-voto, sempre più trasversale e sempre più solido in Parlamento.

Crepe nella minoranza – Il Congresso del Pd avrebbe un altro risultato: mostrare le divergenze nella minoranza. In campo ci sono già tre candidati che aspirano al ruolo di anti-Renzi, con il rischio di sottrarsi voti a vicenda e servire la vittoria del Rottamatore su un piatto d’argento. Il più in vista è il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Ma per la carica di segreterio sono in lizza anche l’ex capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, e il governatore della Toscana, Enrico Rossi. Proprio Speranza ha già messo in chiaro un aspetto sulle modalità di competizione: “Che siano le primarie o il congresso non può essere une plebiscito per il capo. Serve una discussione politica dal basso”.