Rischiano la vita e lo Stato se ne frega

Di Monica Tagliapietra

I sindacati non l’hanno presa bene. Ma i più veloci ad alzare il livello della protesta dopo il nuovo stop agli scatti salariali fino al 2015 sono stati poliziotti, finanzieri, vigili del fuoco e forestali, fino all’esercito e ai carabinieri. Per la prima volta nella storia del Paese faranno sciopero. E sarà uno sciopero generale. L’esasperazione dopo cinque anni con le buste paga inchiodate è esplosa in un documento firmato dai cocer (i sindacati interni) di tutti i corpi del comparto sicurezza e difesa. Con antipasti sparsi nel Paese, come nel caso di Bologna dove gli agenti hanno già preso una decisione clamorosa: non concederanno più alcuna deroga all’orario di lavoro, anche in situazioni critiche per l’ordine pubblico. Lo scontro con il governo arriva dunque a un punto inedito. Le condizioni salariali di tutto il comparto sono d’altronde da tempo assolutamente insostenibili. Una polveriera che rischiava di esplodere, come La Notizia ha scritto in moltissime occasioni. E che adesso esplode sul serio.

Il tradimento
“Quando abbiamo scelto di servire il Paese, per garantire Difesa, Sicurezza e Soccorso pubblico – hanno scritto i Cocer di polizia di Stato, polizia penitenziaria, guardia forestale e vigili del fuoco, insieme al Cocer interforze (esercito, marina, aeronautica, carabinieri e guardia di finanza) – eravamo consci di aver intrapreso una missione votata alla totale dedizione alla Patria e ai suoi cittadini con condizioni difficili per mancanza di mezzi e di risorse. Quello che certamente non credevamo è che chi è stato onorato dal popolo italiano a rappresentare le Istituzioni democratiche ai massimi livelli, non avesse nemmeno la riconoscenza per coloro che, per poco più di 1.300 euro al mese, sono pronti a sacrificare la propria vita per il Paese”.

Servitori dello Stato maltrattati
Il documento, che è un atto d’accusa, alza quindi ancora di più il tono. “Nonostante i sacrifici e i maltrattamenti sinora ricevuti, le donne e gli uomini in uniforme hanno continuato a servire i Cittadini italiani e le Istituzioni democratiche convinti che il Governo, anche in relazione ai continui impegni assunti formalmente con documenti ufficiali e con dichiarazioni sia dei Ministri che dei Capi dei singoli Corpi e Dipartimenti, avrebbe loro riconosciuto quanto negato negli ultimi quattro anni con il blocco del tetto salariale che, invece era dovuto”.
Per la prima volta nella storia della Repubblica, sindacati e Cocer si sono detti perciò costretti a “dichiarare lo sciopero generale di questi comparti, atteso che anche i Capi dei singoli Corpi e Dipartimenti e i relativi Ministri hanno girato le spalle al proprio personale”. E non finisce qui. “Qualora nella legge di stabilità – continua il documento approvato dopo una focosa riunione nel mattino – sia previsto il rinnovo del blocco del tetto salariale, saranno chieste le dimissioni di tutti i Capi dei vari Corpi e Dipartimenti, civili e militari, e dei relativi Ministri poiché non sono stati capaci di rappresentare i sacrifici, la specificità, la professionalità e l’abnegazione del proprio personale.

80 euro e incoerenza
Un antipasto, in sostanza, di quanto può avvenire nel giro di pochi giorni in tutto il pubblico impiego. Un terreno – il migliore possibile – che sembra essere stato volontariamente offerto ai confederali, per ingaggiare battaglia con l’esecutivo. Battaglia dove non si faranno prigionieri, come ha fatto capire il leader della Cgil, Susanna Camusso. “Non comprendiamo – ha tuonato – la logica per cui si continua a prorogare il blocco dei contratti. La sensazione è che si seguiti a chiedere ai soliti noti per non toccare altri interessi che invece produrrebbero molte risorse”. Da Buggerru, in Sardegna, dove ha ricordato il primo sciopero generale d’Italia del 4 settembre 1904, la Camusso ha detto che è ora di decidersi su cosa si vuol fare. Bene gli 80 euro ma poi che coerenza è non chiudere una stagione lunga sei anni che ha portato all’impoverimento delle retribuzioni e delle pensioni?