Saldi di fine stagione sui vitalizi. Due anni di sconto a Bocchino & C. La Camera accoglie in appello i ricorsi di otto ex deputati

Accolti in appello in appello dalla Camera i ricorsi di otto ex deputati

Chi trova un vitalizio trova un tesoro. E loro lo volevano tutto e subito. Ma quando hanno scoperto che il nuovo regolamento di Montecitorio, in vigore dal 2012, li avrebbe costretti ad aspettare almeno i 60 anni – traguardo per alcuni di loro all’epoca ancora lontano – hanno deciso di passare alle carte bollate. Rivolgendosi prima al Consiglio di giurisdizione della Camera che ha bocciato, però, tutti i ricorsi. E poi al Collegio d’appello che, invece, li ha accolti parzialmente. Riconoscendo agli ostinati ex parlamentari uno sconto sull’età pensionabile.

NON HO L’ETA’ – Così, per effetto della sentenza pronunciata il 20 marzo scorso, ad elezioni già celebrate e ad appena tre giorni dall’insediamento delle nuove Camere, otto dei nove fortunati ricorrenti hanno ottenuto di passare all’incasso in anticipo. Il Collegio (nella composizione della precedente legislatura) ha infatti accordato all’ex finiano Italo Bocchino, al leghista della prima ora Daniele Molgora, all’ex azzurro e tra i fondatori di Forza Italia Mario Valducci, e agli ex An Roberto Menia, Mario Landolfi e Filippo Ascierto, un abbassamento del limite d’età da 60 a 58 anni. Età che, peraltro, Landolfi, Ascierto e Valducci hanno nel frattempo già superato. Come pure l’attuale deputato di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, che 58 anni li ha compiuti ad aprile. Anche se, essendo stato rieletto a Montecitorio nel marzo scorso, dopo aver saltato un giro, dovrà rimandare l’appuntamento con il vitalizio alla fine del mandato. Un po’ meglio è andata all’ex vice presidente del Piemonte e due volte sottosegretario nei Governi Berlusconi, Roberto Rosso, che di anni di sconto se ne è visti riconoscere addirittura tre. Per il Collegio d’Appello ha maturato il diritto a percepire l’assegno a 57 anni, traguardo che ha tagliato il 20 settembre 2017. Si è dovuto invece rassegnare a spegnere le 65 candeline, per iniziare ad incassare l’agognata pensione, l’antiquario Eugenio Baresi, prestato alla politica per una sola legislatura, che tra gli scranni di Montecitorio, grazie al Ccd di Casini, si era accomodato tra il 1994 e il 1996. Nonostante avesse riscattato 2 anni e 11 mesi di contributi per completare i versamenti dell’intera legislatura, il Collegio d’Appello ha rigettato (perché “infondato”) il suo ricorso confermando la decisione di primo grado. Ma l’attesa è durata poco. Appena cinque mesi, tra la pronuncia della sentenza e il suo 65esimo compleanno, celebrato il 20 agosto scorso. Quando finalmente ha potuto stappare lo spumante per festeggiare gli anni e il vitalizio. Insomma, Baresi a parte, una vittoria per tutti. Anche se meno netta di quanto avrebbero sperato. Ma pur sempre un bel colpo se si considera che, in base alla Legge Fornero (in attesa delle correzioni annunciate dal Governo), dal 2019, per andare in pensione, i comuni mortali dovranno aver compiuto 67 anni. Altro che 58 o 57.

PRIMA ALL’ARRIVO – Nel caso di Bocchino, l’ex fedelissimo di Fini, con quattro legislature alle spalle, 17 anni di mandato e “un’anzianità contributiva complessiva di 20 anni, 2 mesi e 14 giorni, dei quali 3 anni e 4 mesi derivanti da riscatto”, si legge nella sentenza, in base al Regolamento in vigore al momento della sua prima elezione, avrebbe potuto incassare il vitalizio a partire dal “15 marzo 2013, all’età di 46 anni”, non appena uscito dal Parlamento. Per effetto della riforma del 2012 “lo conseguirà, invece, il primo agosto 2027, all’età di 60 anni”, con un differimento “di 14 anni e 5 mesi”. Ma grazie ai due anni di sconto accordati dal Collegio d’Appello taglierà l’agognato traguardo tra sette anni, nel 2025. Situazione più o meno simile a quella di Menia: 5 legislature e 19 anni di mandato all’attivo, con un’anzianità contributiva più alta pari a “22 anni, 2 mesi e 14 giorni dei quali 3 anni e 3 mesi derivanti da riscatto”. Con le vecchie regole, il vitalizio sarebbe scattato “con decorrenza 15 marzo 2013, all’età di 52 anni”. Il nuovo regolamento della Camera ha fatto slittare la fatidica data al primo gennaio 2022, differendola “di 8 anni e 9 mesi”. Ma considerato l’abbassamento a 58 anni del limite d’età e che il prossimo 3 dicembre ne compirà 57, Menia dovrà aspettare ancora poco più di un anno prima di iniziare a percepire il mensile. Sulla stessa barca pure l’ex sottosegretario all’Economia della Lega Nord nel II Governo Berlusconi, Molgora. Che all’attivo vanta quattro legislature, 17 anni di mandato e “un’anzianità contributiva complessiva di 19 anni, 11 mesi e 9 giorni”, dei quali tre anni riscattati. Se nel 2012 le regole non fossero state cambiate, il vitalizio avrebbe iniziato ad incassarlo pure lui dal 15 marzo 2013 all’età di 51 anni. Invece, tutto rimandato, al primo maggio 2022. Ma grazie alla sentenza del Collegio d’Appello, taglierà il traguardo nel 2020. Uno sconto di un anno in più (57 anni anziché 60), è stato accordato, invece, a Rosso in virtù della carriera parlamentare e dell’anzianità contributiva più robusta rispetto a quella vantata dai colleghi: 5 legislature, 19 anni di mandato e 25 anni, 2 mesi e 14 giorni di contributi, dei quali 6 anni e 3 mesi derivanti da riscatto. Il differimento, nel suo caso, è stato di 7 anni e 7 mesi, al primo ottobre 2020, ma grazie alla sentenza dell’organo di secondo grado di Montecitorio, ha gia maturato il vitalizio con tre anni d’anticipo sulla tabella di marcia, a decorrere dal 2017.

CORSA ALL’INCASSO – Diritto già maturato pure per Ascierto, Landolfi e Valducci – che hanno 60 anni il primo e 59 gli altri due – a partire dal primo dicembre 2015 (Ascierto), dal primo luglio 2017 (Landolfi) e dal primo aprile 2017 (Valducci), al compimento dei 58 anni. Ma su cosa si fonda la decisione del Collegio d’Appello? Su un precedente ricorso del 2014 contro il differimento del vitalizio, in cui era stata eccepita “la menomazione del principio di ragionevolezza” in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Il Collegio ha ritenuto che per gli ex deputati con un’anzianità contributiva superiore ai 10 anni (soglia che nel regolamento del 2012 abbassa l’età pensionabile da 65 a 60 anni) si possa prescindere dal limite minimo generalizzato dei 60 anni. E nell’inerzia dell’Ufficio ci presidenza, benché sollecitato a sanare l’incongruenza, a farlo ci ha pensato il Collegio. Stabilendo che “l’età anagrafica minima di 60 anni” sia “ridotta di un anno per ogni ulteriore legislatura di mandato parlamentare, intera o interamente riscattata”. E creando così un precedente.