Salva la buonuscita di Cimoli. Sotto un treno altri 4,5 milioni

di Clemente Pistilli

Niente maxi-risarcimento alle Ferrovie. Salta in appello la sentenza che condannava gli ex componenti del Consiglio di Amministrazione a pagare oltre quattro milioni e mezzo di euro, somma data a titolo di indennità all’ex amministratore delegato Giancarlo Cimoli, quando decise di lasciare l’azienda per andare in Alitalia, ritenuta dalla Corte dei Conti assolutamente ingiustificata e fonte di un grave danno per Ferrovie e per l’azionista unico: il Ministero dell’economia. Una decisione, quella presa dai giudici contabili della III sezione d’appello, che solleva Franco Gaetano Scoca, docente alla facoltà di giurisprudenza della “Sapienza” di Roma e noto avvocato amministrativista, Mario Sebastiani, docente a “Tor Vergata”, e l’avvocato Roberto Ulissi, attualmente direttore dell’Eni e che lascia un notevole buco nelle casse della società dei treni.

Risultati disastrosi
Era il 2004 quando l’ing. Cimoli, messo al timone di Ferrovie nel 1996 dal primo Governo Prodi per risanare la società – ma che vide proprio in quel periodo l’azienda vivere uno dei periodi più bui – fece fagotto e assunse l’incarico di Ad in Alitalia. Questa volta a volere l’ingegnere al vertice della compagnia aerea fu il Governo Berlusconi. Prima di dire addio alle strade ferrate, Cimoli ottenne però una maxi-indennità. Tra il 1996 e il 2004, escludendo Tfr, indennità accessorie, sostitutivi di ferie e trasferte, il professionista aveva ottenuto dalla spa oltre 13 milioni, passando dai 162mila euro del 1996 ai sei milioni e mezzo del 2004. Senza che nel contratto vi fosse alcuna clausola su una maxi-buonuscita e nonostante fosse stato Cimoli a interrompere il rapporto, il CdA decise di riconoscere all’ingegnere, con delibera del 10 maggio 2004, una somma a titolo di “trattamento economico liquidatorio”: 4.564.139 euro. Per la Corte dei Conti si trattò di uno sperpero di denaro e, ritenendo che tale “regalo” avesse rappresentato un danno notevole per le casse pubbliche, indagò, citò a giudizio e nel giugno 2010 condannò a risarcire l’ingente somma il prof. Scoca, il prof. Sebastiani e l’avvocato Ulissi. I tre hanno fatto appello e, oltre a giustificare la loro scelta parlando di autorizzazione da parte dello stesso Ministero, hanno dato battaglia sostenendo che in materia non era competente a decidere la Corte dei Conti. Una tesi che ha fatto breccia.

Un cavillo e il danno non c’è più
Per i giudici contabili di secondo grado, nonostante in Ferrovie sia coinvolto il Mef e un danno alla spa diventa così danno alle casse pubbliche, l’azienda non si può comunque considerare un’azienda pubblica. I magistrati hanno citato diversi indirizzi dati dalla Cassazione e alla fine stabilito che la Corte dei Conti non è l’organo giurisdizionale chiamato a pronunciarsi su tale contenzioso. I colleghi di primo grado avevano parlato di illegittima irrogazione di indennità e di una somma “smodata e non dovuta”. La sentenza di condanna è diventata carta straccia. Per i giudici d’appello competente a decidere è il giudice ordinario. Sentenza annullata e addio risarcimento. Se Ferrovie vorrà provare a recuperare la somma dovrà promuovere un’azione di responsabilità in sede civile nei confronti degli ex membri del CdA. Cimoli intanto, dopo aver incassato i 4,5 milioni dalla spa dei treni, ne ha ottenuti altri tre anche andando via da Alitalia, salvo poi finire a giudizio per il crac di quest’ultima società.