Sangue a morte a Baghdad

Dalla Redazione

L’Iraq è sempre più un inferno, tra la discesa inarrestabile dei miliziani dell’Isis e il rischio di colpo di stato dopo l’esclusione di al-Maliki dalla premiership. Ieri a Baghdad è stata una giornata di sangue con una serie di attentati nei quali sono morte almeno 20 persone. Prima un’autobomba (10 le vittime), poi un attacco a una moschea sciita nel quartiere centrale di Karrada, infine un’altra esplosione a Zafaraniya. Nel frattempo si indebolisce la posizione di Al-Maliki, che perde un alleato importante come l’Iran. Ali Khamenei, segretario del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale, ha affermato che l’Iran” sostiene il processo legale che è stato condotto per la nomina del nuovo primo ministro”. E successivamente anche il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il principe Saud al Faysal, ha definito “una buona notizia” l’incarico ad Al Abadi, avvenuto con l’ok degli Usa. Ma le tensioni restano soprattutto nelle zone occupate dai jihadisti dell’Isis, in cui prosegue il massacro della comunità Yazidi.

ASSALTO AI POCHI ELICOTTERI, LA FUGA IMPOSSIBILE DALL’IRAQ

Di Carola Olmi

Scene che ricordano la fuga in elicottero dal Vietnam ormai caduto in mano ai Khmer rossi. L’assalto ai pochi elicotteri americani che possono portar via troppe poche persone, decidendo chi resterà in vita e chi andrà con tutta probabilità incontro alla morte. Quella in corso nel nord dell’Iraq è ormai una tragedia umanitaria. Decine di migliaia di profughi yazidi, fuggiti nei giorni scorsi da Sinjar, conquistata dagli islamisti, cercano scampo nelle montagne, sapendo che se saranno presi non avranno altra sorre se non la fucilazione o la sepoltura, ancora vivi, in tombe che dovranno scavarsi da soli.

Tragedia
Secondo fonti locali sarebbero almeno 50 i bambini che muoiono ogni giorno sulle montagne dove gli sfollati sono bloccati senza viveri e acqua. Per alleviare le loro sofferenze aerei statunitensi continuano a lanciare pacchi di aiuti umanitari. Altre migliaia, invece, affrontano in condizioni difficilissime il viaggio verso la frontiera siriana, distante decine di chilometri, per mettersi in salvo. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto al mondo “di fare di più” di fronte al dramma delle minoranze religiose in Iraq. Mentre l’Onu si limita a questo, ieri la deputata simbolo della denuncia di quanto sta avvenendo, Vian Dakhil, protagonista di un drammatico appello al Parlamento di Bagdad in difesa della comunità yazida, è rimasta ferita dopo che l’elicottero su cui viaggiava si è schiantato mentre stava fornendo aiuti umanitari agli sfollati sul monte Sinjar. Troppe persone cercavano di salire e avrebbero fatto cadere il velivolo. A bordo c’erano anche una giornalista del New York Times, la 56enne Alissa Rubin, e il fotografo freelance che viaggiava con lei, Adam Ferguson, di 35 anni, i quali però avrebbero riportato solo ferite lievi. Sull’elicottero si trovavano altre venti persone: il pilota ha perso la vita. Scene che possono essere spiegate con l’atrocità con cui le milizie islamiche stanno uccidendo sommariamente migliaia di persone in un’avanzata che non conosce più freno. A Bagdad d’altra parte ormai regna il caos, con il premier uscente Nuri al-Maliki spodestato da un altro sciita, Haider al-Abadi, nel difficile tentativo di formare un nuovo governo.

Pressing del Vaticano
La situazione dunque continua ad aggravarsi e ormai si teme un golpe da parte dei militari rimasti fedeli ad al-Maliki nonostante questo sia stato scaricato da tutti, a partire dagli americani. In movimento anche la diplomazia vaticana. Dopo le parole pronunciate negli ultimi giorni da papa Francesco, il dramma iracheno è stato oggetto di una dura dichiarazione del Consiglio Pontificio per il Dialogo interreligioso presieduto dal cardinale Jean-Louis Tauran: si esige “una presa di posizione chiara e coraggiosa dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani” contro queste “pratiche indegne per l’uomo. In nessun caso sarà giustificata una tale barbarie” soprattutto per motivi religiosi su cristiani e yazidi. I responsabili religiosi devono anche “esercitare la loro influenza sui governi”, e sottolineare che “il sostegno, il finanziamento e l’armare il terrorismo è moralmente condannabile”. Parole condivise da tutti, compresa la Lega araba, ma che non sembrano fermare i miliziani.