Vittoria a metà per l’ex governatore Ottaviano Del Turco in Cassazione nel processo sulla cosiddetta Sanitopoli in Abruzzo: la Suprema Corte ha infatti annullato con rinvio la condanna d’appello in relazione all’accusa più pesante, quella di associazione a delinquere. Ha però confermato le altre imputazioni relative alle pressioni che avrebbe fatto sull’imprenditore della sanità, Vincenzo Angelini per ottenere denaro. Denaro tuttavia, del quale non é mai stata rinvenuta traccia sui conti di Del Turco né degli altri 8 imputati.

Gli atti verranno inviati alla Corte di appello di Perugia. Ma la prescrizione maturerà prima della fine del prossimo anno. I magistrati umbri devono rideterminare il trattamento sanzionatorio per Del Turco e per altri imputati tra i quali l’ex assessore abruzzese alla sanità, Gabrile Mazzocca, e altri funzionari e componenti della vecchia giunta di centrosinistra, caduta sotto i colpi di questa inchiesta.

Un’inchiesta che durante il processo ha molto circoscritto la sua portata: inizialmente le condanne erano state inflitte per 6,2 milioni di presunte mazzette, mentre in appello il giro di denaro si era ridotto a 800mila euro.

“Spero che questo incubo termini e che a Ottaviano Del Turco sia restituita interamente la piena dignità: è un galantuomo che non ha mai preso nemmeno un euro di tangenti, è una ‘riserva’ della Repubblica e non si può distruggere una persona senza nessuna prova”, ha sottolineato l’avvocato Giandomenico Caiazza nella sua arringa. La condanna per associazione a delinquere é stata annullata con rinvio anche nei confronti di Camillo Cesarone e Lamberto Quarta.

In altri termini, dunque, è da riscrivere la sentenza d’appello emessa dalla Corte d’Appello dell’Aquila il 20 novembre 2015. Del Turco era stato condannato per il reato di associazione a delinquere per induzione indebita, ossia per la vecchia concussione per induzione modificata dalla Legge Severino. La riduzione della pena rispetto alla sentenza di primo grado da nove anni e mezzo a quattro anni e due mesi era dipesa dal fatto che la Corte d’appello aveva ridotto gli episodi corruttivi dai 24 della sentenza di primo grado a sei.