Scissione ad un passo nel Pd

di Alessandro Righi

Dal Jobs Act alla legge elettorale, il discorso non cambia. Nel Pd l’aria è sempre e comunque di burrasca. Sintomo, forse, del fatto che nel partito – volenti o nolenti – alberghino due anime contrapposte, che viaggiano su due strade parallele che non si incontreranno mai. Perché Renzi resterà sempre Renzi. Deciso e ostinato, comunque la si pensi. Ma anche i frondisti resteranno sempre tali. E non è un caso allora che alla direzione di ieri sera, quasi tutta la squadra al completo della minoranza non si è presentata. Impegni improrogabili, hanno detto. O meglio: Matteo Renzi ci ha avvisato troppo tardi.

L’ALTRA RIUNIONE
Il tempo però per incontrarsi tra di loro, l’hanno trovato. E così alle 19 di ieri nella sala Berlinguer di Montecitorio si è riunita la sola minoranza del Partito Democratico. All’ordine del giorno, Italicum e Jobs Act. Tra i presenti i frondisti big: Massimo D’Alema, Cesare Damiano, Guglielmo Epifani, Gianni Cuperlo e Pier Luigi Bersani. Senza dimenticare Pippo Civati e Stefano Fassina. Che, intervenendo in direzione, ha appunto bacchettato il premier: “non si può indire una riunione così delicata con meno di 24 ore di anticipo”. Ma il problema, dice il Dem, è anche “politico”. Specie sul Jobs Act.

NIENTE VOTO
Eppure Renzi non si è scomposto. E ha rilanciato su tutti i fronti. Non solo legge elettorale. Ma anche Jobs Act e legge di stabilità. Tutte riforme che dovranno essere portate a termine nelle prossime settimane (“entro fine anno”, ha detto il premier). Ma non si può prescindere dall’Italicum. Perchè se è vero che “gli italiani non si svegliano col pensiero della legge elettorale”, è anche vero che questa “è il pin per accendere il telefonino, il presupposto con cui dimostri agli italiani che fai sul serio”. E il passo in avanti, stando a quanto detto da Renzi, c’è stato. “Abbiamo fissato una calendarizzazione” che prevede l’approvazione al Senato entro fine anno e l’approvazione definitiva entro febbraio 2015. Tante le novità: non solo preferenze e soglia al 40% (vedi articolo a lato), ma anche voto di genere. Ma l’impressione è che anche sugli altri due punti su cui oggi non c’è piena convergenza con Forza Italia – sbarramento al 3% e premio alla lista – Renzi voglia andare dritto. Senza paura e senza scrupoli. Come dire: sono gli altri che devono adeguarsi a me, non io a loro. Un atteggiamento deciso, dunque. Che Renzi tiene e vuole tenere anche con i dissidenti interni. Sarà solo un caso ma la direzione, al termine dell’intervento di Renzi, ha deciso di non chiudere con una votazione perchè sulla legge elettorale “già c’erano state deliberazioni precedenti”. Dunque niente voto. Forse anche per evitare che in troppi non votassero.