Scoppia la guerra di carta

Di Sergio Patti

Il progetto del Governo di riformare le norme sulla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche un risultato l’ha già ottenuto: fare scannare i giornalisti. Dall’ala più intransigente e giustizialista – oggi idealmente occupata dal Fatto Quotidiano – a quella più garantista – non a caso è in stampa da pochi giorni un giornale che si chiama Il Garantista, le ipotesi sono le più diverse e decisamente lontanissime tra loro. Se per il direttore del Fatto, Antonio Padellaro, la miglior cosa da fare è non fare nulla, lasciando inalterata la situazione attuale, per il direttore del Garantista, Piero Sansonetti, una norma chiara è indispensabile. E parlando con il quotidiano Europa, lo stesso Sansonetti arriva alla provocazione, proponendo di bloccare per due anni la pubblicazione di ogni intercettazione. Una sorta di moratoria che le riduca del 95% dalle 600 mila l’anno attuali.

Le posizioni
Se per Padellaro normare la materia è inutile, in quanto i giornalisti sono abbastanza maturi da valutare cosa è utile pubblicare da cosa non lo è, il direttore della Notizia, Gaetano Pedullà, ha firmato un editoriale per ammettere che di buon senso non se ne vede molto in giro, e riferimenti come il garante della Privacy, la deontologia professionale o la carta di Treviso per la tutela dei minori sono armi spuntate. Meglio, sostiene Pedullà, affrontare la questione e chiamare a una assunzioend i responsabilità quegli stessi magistrati che forniscono le intercettazioni, obbligandoli a specificare cosa è di inteserre pubblico e dunque può essere pubblicato da cosa attiene la sfera privata e inviolabile della persona intercettata, anche se soggetta a provvedimenti giudiziari. Per tutte le intercettazioni pubblicate senza autorizzazione, possono scattare invece specifiche sanzioni pecuniarie, senza arrivare comunque alla condanna al carcere.

Il Garante
L’idea di una riforma delle intercettazioni piace anche al Garante della Privacy, Antonello Soro, che in un colloquio con Repubblica ha proposto di affrontare il tema della pubblicazione senza toccare lo strumento investigativo. L’unico modo, secondo l’ex parlamentare del Pd, per portare a casa un risultato. Non separare il tema delle intercettazioni da quello della loro pubblicazione – ha spiegato – rischia di offrire la degenerazione del “giornalismo da trascrizione” a quanti vogliono approfittarne per comprimere l’uso dello strumento investigativo. Certo, il rischio che il dibattito sulle intercettazioni sconfini in un conflitto tra politica, magistratura e informazione c’è tutto. E su questo anche l’Ordine dei giornalisti guidato da Enzo Iacopino ha già battuto un colpo, dicendosi disponibile a un confronto, il 16 luglio, tra direttori di testate cartacee e tv, al fine di mettere le conclusioni a disposizione di Palazzo Chigi. Il Governo, infatti, si è impegnato ad ascoltare i suggerimenti, per poi decidere dopo un tempo misurato in due mesi. Renzi rispetterà poi l’impegno? La sensazione è che con tutti i problemi che ci stanno, la materia potrebbe finire nel cassetto dei lavori in corso, ricoperta da provvedimenti più urgenti. La questione delle intercettazioni e la loro diffusione è però una bandiera di libertà e rispetto della dignità dell’uomo. Episodi come la pubblicazione dell’audio dell’interrogatorio di garanzia in carcere dell’ex ministro Scajola per Soro sono una autentica barbarie. E non c’è scusa per non definire la divulgazione di un tale atto giudiziario come un illecito “accanimento informativo”, alla stregua delle decine di telecamere che stazionano da settimane sotto la casa del presunto assassino di Yara.

per leggere l’inchiesta de La Notizia sui costi delle intercettazioni leggi qui