Se il guru del web ha solo 8 anni. Anche la Ferragni impallidisce davanti a Ryan. Con i suoi video ha totalizzato 17 milioni di seguaci. Il piccolo influencer ha già fatturato di 22 milioni di dollari

La storia di Ryan, piccolo influencer statunitense

Una volta le persone tendevano ad ispirarsi a Tiziano Terzani leggendo uno dei suoi saggi sui viaggi in cerca del proprio Io. Magari, poi, passavano ore a vedere e rivedere i film neorealisti di Pier Paolo Pasolini e di Luchino Visconti. Tempi andati. Oggi il vero guru lo si ritrova sul web. E non necessariamente deve passare il tempo a realizzare video magari parlando di trucchi, vestiti e lanciando marchi di ogni genere (Chiara Ferragni docet). Basta molto meno. Prendiamo l’attività di un bambino statunitense di neanche otto anni che gioca sorridentissimo (chi non lo sarebbe?) con i suoi nuovi giocattoli – camion, pupazzi Disney, pongo, Lego e costruzioni – , mostrandone il funzionamento.

Non si tratta di niente di complicato, pochissima tecnologia, niente tutorial. Anzi, Ryan insieme ai suoi genitori che curano il montaggio dei video, dall’età di cinque anni si diverte con giochi tradizionali, raggiungendo ad oggi più di 17,3 milioni di follower su Youtube con 26 miliardi di visualizzazioni. Attraverso questo “giochino” Ryan è oggi lo youtuber più pagato del 2018 con un fatturato di circa 22 milioni di dollari. E quest’avventura come poteva iniziare, se non, per l’appunto, per gioco? Almeno per lui. Perché i suoi genitori hanno capito più che subito che andazzo avrebbe potuto prendere il “giochino”.

E allora lì subito hanno cominciato a tagliuzzare video, incollarli, montarli. Fino a fare del proprio figlio una stella del web. E così oggi il canale “Ryan Toys Review” ha ottenuto il record di “più visto per un Millennial”. Restano però alcune domande incrociate che dovrebbero interrogare tutti sull’indirizzo che la società sta prendendo: non sarà un po’ presto per guadagnare così tanto? Basta essere attenti alla privacy del piccolo per proteggerlo, come cercando di far credere i suoi genitori? Se lo avessero voluto realmente proteggere, probabilmente non avrebbero dovuto sbatterlo davanti a un videro per renderlo una macchina-mangia-soldi.

E poi ci siamo noi, il pubblico. Incantati davanti a un bambino che – udite, udite – gioca. Un filosofo di qualche decennio fa, Gunther Anders, avrebbe osservato (nel suo saggio eloquentemente intitolato L’uomo è antiquato) che siamo ridotti a vivere in una società in cui, invece di giocare noi in prima persona, preferiamo vedere un video in cui sono altri a giocare. Una realtà, per estensione, in cui preferiamo vedere altri vivere piuttosto che vivere in prima persona. Spettatori di un mondo che finisce con l’appartenerci sempre meno. Con la chiusa paradossale che tutto questo tocca (e arricchisce) un bimbo di soli otto anni. Sarebbe curioso sapere cosa ne avrebbero pensato Terzani e Pasolini. Ma, forse, è meglio restare col dubbio.