Se lo Stato non paga i Comuni vanno all’aria. Non c’è solo la Appendino, sindaci in balia di Palazzo Chigi. Dall’Imu alle spese giudiziarie

Non solo Chiara Appendino. Anche altri sindaci battono cassa con lo Stato per la restituzione di vecchie annualità di Ici-Imu

La minaccia di un ricorso contro lo Stato per gli arretrati Imu 2012 da parte della sindaca di Torino, la Cinque stelle, Chiara Appendino, non fa altro che riaccendere i riflettori sul controverso passaggio dall’Ici all’Imu e, quindi, scoperchiare ancora una volta il vaso di Pandora sull’annosa questione delle compensazioni che spetterebbero ai comuni per il nuovo (mica tanto, dal momento che risale ormai al 2012) sistema. Una miccia, quella innescata dalla prima cittadina del capoluogo sabaudo, che arriva proprio in un momento di scadenze delicate per il Governo. Con la manovrina da 3,5 miliardi da preparare e l’appuntamento col Def, infatti, sulla testa di Paolo Gentiloni potrebbe pendere pure la spada di Damocle di altre amministrazioni comunali intenzionate a battere cassa. Un effetto domino per emulazione, in pratica. Ma che, comunque, sarebbe nelle cose. Galeotta appunto l’abolizione dell’Ici e lo stop, a partire dal 2015, ai trasferimenti agli enti locali da parte dello Stato, due distinti comparti di risorse per i Comuni che sono in qualche modo venuti meno. Certo, per le amministrazioni periferiche la riforma del catasto, sempre annunciata, potrebbe rappresentare un sollievo, offrendo la possibilità di nuove entrate. Ma su questo fronte oltre gli annunci non si va perché manca un’anagrafe aggiornata per poter ridiscutere una nuova tassazione sulla casa e soprattutto perché il Governo stesso è ben consapevole che una simile riforma finirebbe per uccidere il settore immobiliare.

Il nodo – Si torna così alla casella di partenza: da un lato lo Stato che resta debitore nei confronti dei Comuni e dall’altro questi ultimi che battono cassa e continueranno a farlo (anche scegliendo la strada dei ricorsi). E nonostante il Fondo di solidarietà, istituito proprio allo scopo di ripartire in parte il gettito aumentato dell’Imu, un gettito di base maggiore rispetto alla vecchia Ici che non può rimanere ai Comuni ma va regolamentato per evitare scompensi, tenendo conto dei tagli sopraggiunti di anno in anno. La quota di Imu locale, in pratica, deve regolamentare un’entità di tagli tali, ben 9 miliardi decisi tra il 2011 e il 2015, che i Comuni debbono versare 340 milioni annui allo Stato per poterli pareggiare. “È evidente – ha confermato a La Notizia Andrea Ferri, responsabile Finanza locale dell’Anci – che quello che si è creato negli ultimi anni è un guazzabuglio incredibile al quale bisogna cercare di porre rimedio il prima possibile. Proprio per evitare contenziosi in molti casi legittimi soprattutto nel momento in cui al taglio di un’entrata tributaria corrisponde un meccanismo di compensazione che non è basato su stime certe”. Non è possibile conoscere l’entità del debito maturato dallo Stato nei confronti dei Comuni, ma basta scorrere i documenti Anci per farsi un’idea delle questioni aperte.

I fronti aperti – Torino a parte, infatti, sulle casse statali pesa anche la sentenza del Consiglio di Stato (la 5008 del 2015) che ha in parte dato ragione all’Anci. L’associazione dei Comuni contestava una valutazione dell’Ici sottostimata di 450 milioni. Nel mirino dei comuni anche “il check di coerenza”, quel meccanismo amministrativo portato avanti dal Mef che ha penalizzato diversi enti ed è risultato arbitrario. Sebbene la questione del valore Ici sia rimasta irrisolta, la sentenza ha dato il là a una rinegoziazione. Peccato che i Comuni interessati siano circa 3mila e la restituzione di 290 milioni sarà rateizzata in dieci anni. E non è il solo fronte aperto. Che dire, per esempio, del regime d’imposizione, cambiato tra il 2014 e il 2015, sui terreni agricoli montani? Si tratta di 2500 Comuni che hanno subito un vero taglio a fronte di un gettito ipotetico. In pratica, al netto del gettito incassato, hanno perso 120 milioni all’anno per due anni. Ancora una volta, quindi, lo Stato è in debito. Se nel 2014 queste amministrazioni hanno recuperato il 50% delle somme perse, per il 50% del 2015 rientreranno solo in dieci anni. A questo si aggiungano le spese sostenute per gli uffici giudiziari. Su tale fronte, la compensazione è stata integrale fino al 2010 da parte del ministero della Giustizia. Dal 2011 al 2014, invece, per 800 Comuni circa la spesa sostenuta è stata pari a un miliardo e 150 mentre il rimborso si è fermato a 500 milioni in acconto. E i rimanenti 650 milioni? Verranno sì restituiti ma in ben 30 anni. La parola d’ordine, insomma, dalle parti di Palazzo Chigi è una sola: aspettare. Sarà questa la sorte che, fatta eccezione per Lecce, che sull’Imu arretrata ha potuto incassare i 16 milioni che le spettavano, varrà per tutti. Pure sotto la Mole.

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