Sprecopoli, nessuno batte gli enti locali. Quelle 5 mila piccole Iri impossibili da tagliare

di Carmine Gazzanni

A dirlo è stato lo stesso Carlo Cottarelli: l’obiettivo è molto ambizioso. Stiamo parlando, d’altronde, di un taglio di 32 miliardi in tre anni. Anche solo se si riuscisse a realizzare una parte di quanto scritto nel programma messo a punto dal commissario per la spending review sarebbe un risultato tutto da festeggiare. Eppure da tagliare ce ne sarebbe eccome. A cominciare dalla partecipate, in molti casi carrozzoni inutili buoni (anche o solo) per piazzare l’amico di partito o il trombato di turno. Non è un caso, allora, che uno dei punti del piano di Cottarelli preveda proprio nuovi criteri “per affidamento, razionalizzazione, vincoli di bilancio, dismissione, riduzione numero” delle partecipate. E non solo quelle dello Stato (vedi La Notizia del 21 novembre), ma anche delle “amministrazioni territoriali”. È proprio lì, infatti, che si concentrano i numerosi “enti inutili” che gonfiano i costi della politica e dissanguano le casse pubbliche.

La giungla
Dare un numero definitivo di quanti siano gli enti strumentali che girano attorno all’orbita di regioni, province e comuni non è cosa da poco: non è facile d’altronde districarsi tra le tante partecipazioni, dirette e indirette, delle pubbliche amministrazioni. Si dirà: ma non ci aveva pensato Mario Monti a dare una bella sforbiciata alle tante società che affollano le regioni d’Italia (art. 4 dl n.95/2012)? Vero. Peccato però che ad oggi sia stato in gran parte disatteso. Almeno questo è quello che affiora consultando i numeri ufficiali. Gli ultimi dati, infatti, sono stati resi noti dalla Corte dei Conti soltanto il 6 novembre scorso in occasione dell’audizione tenutasi in Commissione Affari Costituzionali riguardante il ddl per la razionalizzazione delle province. I numeri sono sconvolgenti. Tra spa, srl, consorzi, società consortili, istituzioni, fondazioni, aziende e agenzie, gli enti partecipati ammontano a 5.521. Di questi inattivi sono solo 10, cessati 89 e in liquidazione 428. In piena attività tutto il resto: ben 4.994. Una giungla incredibile che, ovviamente, comporta spese ancora più spropositate. Basti questo: secondo i dati del ministero dello Sviluppo Economico relativi al 2012, le partecipate sono costate alle casse pubbliche oltre 7,4 miliardi di euro. Una cifra allucinante. E lo è ancora di più se consideriamo che il ministero aveva conteggiato “solo” 3.127 società. Quasi 2 mila in meno rispetto ai dati della Corte dei Conti. Una mancanza che fa lievitare (e non di poco) il costo totale delle partecipate locali. Costo che, ovviamente, grava sulle casse pubbliche e che spesso tiene in vita carrozzoni buoni solo a garantire stipendi. Ecco perché, specie in periodo di austerity, si rende necessario tagliare il tanto superfluo degli enti pubblici.

L’impresa titanica
Non sarà facile. Basti pensare, d’altronde, che prima di Cottarelli ci avevano provato in tanti: nel 2007 Padoa Schioppa con il suo “Libro verde”, poi, l’anno scorso, Monti e il super-commissario Enrico Bondi. Hanno fallito tutti. Il risultato, fino ad ora, è stato sempre e solo uno: tante promesse e, di queste, troppe disattese. Stando alla Corte dei Conti il motivo per cui, nonostante i tanti provvedimenti, non si sia giunti mai ad una soluzione risiederebbe nella mancanza di una linea programmatica. Scrivono infatti i magistrati contabili: “Si tratta di disposizioni non omogenee, talora risalenti nel tempo e, comunque, adottate in mancanza di un disegno coerente, la cui attuazione ha largamente impegnato la giurisprudenza della Corte dei conti in sede di controllo”. Insomma, quello che pare è che, spesso, le tante misure annunciate abbiano avuto un fine squisitamente elettorale.

Le vie d’uscita
Ora però sembra che qualcosa stia cambiando. Stretti dalla morsa del patto di stabilità sono gli stessi comuni che hanno cominciato a pensare concretamente all’idea di cedere alcune partecipate, soprattutto perché gran parte di queste hanno conti clamorosamente in rosso. La partita non è facile. Una possibile strada è stata indicata direttamente dalla Corte: “Nell’ottica della semplificazione del sistema degli organismi partecipati potrebbe essere valutata la possibilità di rendere gratuite le cariche dei componenti degli organi sociali”. Difficile credere che gli enti intraprendano questa via. Ma, a conti fatti, due sono le uniche alternative. O cercare (e trovare) una strada per tenere le partecipate nel pubblico ma risanandone i debiti e rendendole più efficienti magari affidandole a professionisti e non al politico amico. Oppure l’unica è vendere ai privati. Tertium non datur. E gli amministratori, sfiancati da fondi statali spesso insufficienti per garantire stipendi e prebende ad ogni ente partecipato, ora cominciano a rendersene conto.