Stato debitore, la Pubblica amministrazione continua a non pagare le imprese. E il Governo non aggiorna nemmeno i dati

Era stata la promessa chiave del Governo guidato da Matteo Renzi: abbattere sensibilmente i debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese.

Era stata la promessa chiave del Governo guidato da Matteo Renzi: abbattere sensibilmente i debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese. Ricordate quei famosi 90 miliardi di euro denunciati un po’ da tutti gli osservatori economici? Ebbene, a fine 2014 (ultimo dato disponibile sul sito del ministero dell’economia) erano arrivati a 70 miliardi. Ma il picco di 90 miliardi era stato raggiunto nel 2012, anno del governo guidato da Mario Monti. Se due anni dopo sono arrivati a 70 il merito non è certo integralmente ascrivibile al giglio magico di palazzo Chigi. Ma adesso come stanno le cose? L’ultimo aggiornamento sui pagamenti effettivi risale all’11 agosto del 2015. Circa un anno fa. Il che la dice anche lunga sulla volontà dell’Esecutivo di fornire un trasparente aggiornamento della situazione.

IL DATO
Ad ogni modo a quella data risultavano messi a disposizione degli enti debitori, tra cui gli enti locali, 44,6 miliardi di euro. Ma di questi i debiti effettivamente pagati ai creditori risultavano per 38,6 miliardi di euro. Un po’ a spanne si può dire che su circa 70 miliardi di debiti della Pubblica amministrazione sono stati pagati 38 miliardi. Certo non la cifra che era stata promessa dal presidente del consiglio Matteo Renzi. E pensare che il 13 marzo del 2014, in un’ormai famosa puntata di Porta a Porta, il presidente del Consiglio assicurò che entro il 21 settembre successivo, giorno del suo onomastico, il governo avrebbe completato la restituzione alle imprese dei 56 miliardi di debiti maturati dalla pubblica amministrazione entro il 31 dicembre 2013.

SMOSSI PURE I SANTI
In caso contrario aveva promesso una camminata fino al santuario del monte Senario vicono a Firenze. Per ora, però, nulla di fatto. Altra promessa al momento non mantenuta riguarda il rilancio dell’Ilva. Sempre nel 2014 il Governo all’interno di un decreto sblocca Italia aprì un’autostrada ai desiderata del gasdotto Tap, controllato da multinazionali estere, che dovrebbe portare il gas dell’Azerbaijan fino alle coste pugliesi. L’assunto era che la società che gestisce il Tap avrebbe potuto “premiare” l’Ilva assegnando all’acciaieria le ricche commesse derivanti dalla realizzazione dell’infrastruttura. Alla prova dei fatti, invece, l’Ilva non è riusciota ad aggiudicarsi uno straccio di appalto. Anzi, quasi per beffa, una delle commesse più ricche per la fornitura di tubi è stata assegnata ai tedeschi di Salzgitter Mannesmann.

GLI SVILUPPI
Infine proprio di questi tempi, un anno fa, Renzi ha annunciato un piano di riduzione fiscale da 35 miliardi di euro in tre anni, quindi fino al 2018. Nel menù sarebbero dovuti entrare interventi come la dimunuzione del combinato disposto di Ires ed Irap e una rimodulazione verso il basso degli scaglioni Irpef. Adesso, con la batosta subita dal Partito democratico alle amministrative e con la necessità di recuperare consenso in vista del referendum sulle riforme costituzionali, il premier potrebbe essere tentato di rilanciare un piano di shock fiscale. Ma con quali risorse? E soprattutto, rispettando la promessa di uno sgravio da 35 miliardi fatta giusto un anno fa? Piuttosto difficile, a meno che non arrivi un aiuto oggi improbabile da Bruxelles e Berlino.