Stop ai nonni che fanno figli. La Cassazione mette i paletti

di Clemente Pistilli

Corretto fare figli in età avanzata ricorrendo alla fecondazione assistita? Interrogativo su cui da anni è aperto il dibattito e sul quale non è stata ancora trovata un’adeguata risposta. A riproporlo con forza una sentenza della I sezione civile della Corte di Cassazione, che ha confermato la decisione dei giudici piemontesi di togliere una bambina a due genitori anziani. Gli ermellini hanno specificato che sulla decisione non ha influito l’età della coppia, per poi però aggiungere subito che il rapporto instaurato dai due con la piccola, fin dall’inizio, sarebbe stato sbagliato, non riuscendo a entrare in sintonia con i bisogni di una neonata.

L’aiuto medico
Dal momento in cui in Italia, grazie alla fecondazione assistita, hanno partorito sessantenni e negli Stati Uniti è diventata mamma anche una donna di 77 anni, le polemiche sull’opportunità di diventare genitori quando si hanno i capelli bianchi fervono. Del resto, come mostrano gli ultimi rapporti sulla natalità nella Penisola, mentre diminuisce il numero di bambini, aumenta l’età delle mamme italiane, con una media di 32 anni e mezzo. Sul ricorso alla medicina per ottenere una gravidanza, il nodo resta però quello se determinate pratiche debbano essere riservate soltanto a chi, pur giovane, ha difficoltà ad avere figli o se debbano essere estese anche a quanti sono avanti con gli anni e vengono presi dal desiderio della genitorialità. La sentenza della Cassazione sembra parlare chiaro.

Neonata tolta ai genitori
Il caso di una coppia del Monferrato è esploso nel 2011. I vicini dei due – lui di 70 anni e lei di 57, che avevano avuto una bimba ricorrendo alla fecondazione assistita – avevano sentito la piccola di 50 giorni piangere a dirotto, mentre era sola in auto. Dopo aver bussato alla porta del papà della bambina, i vicini si erano sentiti rispondere che era tutto a posto e che lui stava per raggiungere la moglie, in quel momento a casa di un’amica a fare quattro chiacchiere. Intervenuti i servizi sociali, la neonata era stata data in affidamento e il Tribunale per i minori di Torino ne aveva dichiarata l’adottabilità, sentenza poi confermata lo scorso anno dalla Corte d’Appello del capoluogo piemontese. I genitori, privati della piccola, hanno fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che la “minore ha diritto di vivere e crescere nella propria famiglia di origine” e che loro non l’avevano abbandonata, ma niente da fare. I magistrati hanno specificato che, in tema di adozione, va sempre considerato l’esclusivo interesse del minore. Gli ermellini hanno sostenuto che il problema non era quello dell’età della coppia, ma subito dopo, definendo la situazione “grave e irreversibile”, hanno specificato che i genitori sono risultati inadeguati “in relazione alle esigenze di sviluppo della minore” e che le loro modalità di rapportarsi con la bambina, che ha ora tre anni, sono particolarmente “distoniche”. Per i giudici, il papà della piccola, nel diventare genitore, si sarebbe adeguato “ai desideri della moglie” piuttosto che fare una scelta personale e totalmente condivisa. E la mamma? “La nascita della bambina si configura per la madre come realizzazione di un processo narcisistico”. Difficile vedere tale sentenza come qualcosa di diverso di un freno ai genitori-nonni.