Sul Lavoro solo idee confuse. Ko i Centri per l’impiego. Cortocircuito normativo tra Stato e Regioni. E i dipendenti restano nel limbo

Centri per l’impiego al collasso. A fine anno 2mila precari rischiano di andare a casa e il resto dei dipendenti non sanno neanche a chi dovranno rispondere

Se anche chi dovrebbe mettere in contatto i disoccupati al mondo del lavoro è abbandonato al suo destino c’è poco da sperare che la situazione occupazionale in Italia possa migliorare nel breve periodo. Stiamo parlando dei Centri per l’impiego che nel nostro Paese versano in una situazione a dir poco disastrosa. Da oltre un anno gli uffici tirano a campare, tra mille difficoltà, e vanno avanti soltanto grazie alle convenzioni siglate tra ministero del Lavoro e le singole Regioni. Accordi che per ora garantiscono il funzionamento dei Centri per l’impiego fino alla fine del 2016 con 2/3 delle spese a carico dello Stato e 1/3 sulle spalle delle Regioni. È ancora mistero, però, su quel che accadrà dopo il 31 dicembre quando circa 2mila lavoratori precari rischiano di andare a casa. E i restanti 8 mila non sanno ancora a chi dovranno rendere conto della loro attività.

REGNO DI NESSUNO
Ed è proprio questa la problematica principale. I Centri per l’impiego, fino alla riforma Delrio, facevano capo alle province. La soppressione degli enti locali ha portato alle convenzioni tra ministero e Regioni che, come già detto, scadono a fine anno. Prim’ancora, però, c’è una data fondamentale: il 4 dicembre. Perché dalla riforma costituzionale dipende anche il futuro dei Centri per l’impiego le cui competenze passerebbero nelle mani dello Stato centrale qualora al referendum vincesse il Sì. In caso di vittoria del No, sarebbe necessaria una nuova convenzione o l’auspicato intervento normativo richiesto dai sindacati anche nella giornata di ieri sotto la sede del ministero del Lavoro. Che per il momento tarda ad arrivare. Il ministero di via Veneto, guidato da Giuliano Poletti, sembra abbia scelto la linea attendista, almeno fino al 4 dicembre. “Nessuna garanzia sul futuro dei Centri per l’impiego e sul destino del personale precario”, hanno denunciato Cgil, Cisl e Uil al termine dell’incontro al ministero del Lavoro. I sindacati hanno fatto sapere che il Governo ha messo in manovra 220 milioni per il funzionamento dei Centri per l’impiego. Della soluzione normativa richiesta, però, non c’è traccia. Anche per questo le organizzazioni dei lavoratori reputano “insoddisfacente” l’incontro minacciando nuove e più forti rimostranze nei confronti dell’esecutivo. Da nord a sud, allo stato dei fatti, è già un miracolo che questi uffici riescano a restare aperti. Ben altra cosa è riuscire a offrire pieni servizi a chi ne ha bisogno.

POLITICHE ATTIVE MA NON TROPPO
Eppure la funzionalità dei Centri per l’impiego sarebbe indispensabile per mettere in atto quelle politiche attive del lavoro che dovrebbero essere uno dei fulcri del Jobs Act. “Vanno anche bene i nuovi strumenti delle politiche attive, tra cui il Sia (il sostegno per l’inclusione attiva) “, ha spiegato a La Notizia Michele Petraroia, un passato nel sindacato e consigliere regionale molisano da sempre attento alle politiche del lavoro, “ma condizione fondamentale è il funzionamento dei Centri per l’impiego altrimenti viene vanificato ogni sforzo. Occorre ricostruire una rete tra Inps, ministero del Lavoro e i Centri per l’impiego per ridare vita a una filiera che possa occuparsi del reinserimento lavorativo”. Quelli che una volta erano chiamati uffici di collocamento, con la riforma del mercato del lavoro, non hanno più un mero ruolo informativo, ma attivo nella gestione e nel controllo delle politiche del lavoro. Dall’inclusione attiva all’orientamento, per passare al reinserimento e a tutte le altre forme di assistenza: tutti servizi che i Centri per l’impiego ridotti a brandelli ora non riescono proprio a garantire.