I talent show affogano il talento. Troppi programmi fotocopia. Format a rischio overdose. I giovani cercano solo una scorciatoia per non lavorare

Una volta c’erano i concorsi, oggi ci sono i talent show. Chi di voi cinquantenni non ha almeno una volta partecipato a una prova di selezione per entrare alle Poste, con almeno 30 mila iscritti in lizza per 80 assunzioni? Per i vincitori il posto non era neanche matematico. Di sicuro c’era solo l’entrata nella graduatoria. Fiumi di candidati cresciuti con il sogno di approdare nella pubblica amministrazione e di diventare un colletto bianco. Nel frattempo, però, tutti pronti a cimentarsi in un calvario ponte tra il diploma, il corso di laurea e il mondo del lavoro. Sarà stata pure la generazione del 6 politico, seguente a quella del Sessantotto, con poca voglia di studiare e di inventarsi qualcosa nuovo e di creativo, tartassata dall’austerity e segnata duramente dagli anni di piombo, tuttavia oggi –  quella generazione – si ritrova dei figli che vogliono entrare nel mondo dello star system. Magari!, verrebbe voglia di dire loro. Ma quanti hanno davvero il talento per riuscire nell’impresa titanica alla #unosumillecelafa? Ad alimentare la fabbrica delle illusioni ci sono i talent show in tv. Non solo per aspiranti miss, cantanti, conduttori, showgirl, ballerini, acrobati, ma anche per parrucchieri, dj, chef, manager e quant’altro. Prima o poi speriamo tocchi pure a meccanici e muratori che ancora non possono sfidarsi a colpi di giurati.

 

LA FABBRICA DELLE ILLUSIONI

«Tutti inseguono la partecipazione a un talent tv solo per avere un’opportunità che è vista come una scorciatoia al successo – sottolinea Paolo Crepet – ma tra tutti questi milioni di aspiranti che partecipano ai talent non c’è neanche un talento. Questi programmi non servono a nulla. Chi ha del talento non vi partecipa. È solo una fabbrica delle illusioni. Inoltre – aggiunge lo psicologo – una eliminazione può essere vissuta dal giovane come una delusione traumatica, dalla quale è difficile riprendersi».

 

PRIMO APPLAUSO

Il primo talent della tv fu Primo applauso. Era il 1956, in conduzione l’impareggiabile Enzo Tortora affiancato da Silvana Pampanini. Da quel programma uscirono fuori Adriano Celentano e il mago Silvan. Artisti che ancora oggi, sessant’anni dopo, tengono banco. Negli anni Sessanta fu Pippo Baudo con lo storico Settevoci, il quiz musicale che portò alla ribalta Massimo Ranieri, Al Bano e Orietta Berti.

Negli anni Duemila i talent show sono piovuti a grandine. Alcuni ancora oggi fanno il pieno di ascolti (Amici, X Factor, The Voice, Italia’s Got Talent, MasterChef, Ti lascio una canzone). Di altri perfino il titolo dai più è stato rimosso (Popstars, Superstar Tour, Operazione Trionfo, Music Farm, Punto su di te, Baila, La Pista). Poi ci sono i talent show che schierano come concorrenti i vip caduti in disgrazia e in cerca di rilancio (Ballando con le Stelle, Notti di Ghiaccio e soprattutto Tale e Quale Show).

Ma non si vive di solo palcoscenico. Ci sono anche i talent per pasticceri (Il più grande pasticcere, Bake Off), parrucchieri (Hair), scrittori (Masterpiece) e dj (Top Dj). Altri stanno spuntando come funghi. In pratica oggi i giovani fanno la fila per partecipare in massa alle selezioni di ogni tipo di talent, quasi come fosse una gita scolastica, tralasciando le opportunità di lavoro e di studio. Tutti pseudo artisti nullafacenti. I talent che hanno sfornato talenti erano quelli mirati, con meno partecipazioni e tanta preparazione in più, frutto di sacrifici e allenamenti. Chiedete a Raffaella Carrà se la sera si allenava o partecipava alle serate passerella in discoteca.

Dagli anni Duemila a oggi possiamo dire che tolti quei 5-6 diventati più o meno dei big (Mengoni, Emma, il Volo, Noemi, Amoroso, Chiara) non c’è più traccia di decine di vincitori. Scanu è dovuto andare sull’Isola dei Famosi per riemergere. Gli altri sono spariti. Ma non erano tutti talenti?