Trattativa Stato-mafia, ecco l’ultima Putinata. Lo Zar Vladimir chiamato come testimone al processo diventato ormai una barzelletta

Non è uno scherzo: Putin sul banco dei testimoni. Si penserà: per il Russiagate e i rapporti con Donald Trump? No. Per il processo Stato-mafia.

No, non è uno scherzo: Vladimir Putin sul banco dei testimoni. Si penserà: per il Russiagate e i rapporti con Donald Trump? Acqua. Per gli accordi con la Siria di Bashar al-Assad? Acqua, acqua. Per l’annessione della Crimea a danno dell’Ucraina? Acquazzone. E allora, ragionerà qualcuno, non può che essere per le pesanti limitazioni del diritto di espressione e di manifestazione per il fronte dell’opposizione che appena scendono in strada a Mosca o a San Pietroburgo per protestare – questi ingrati – e chiedere norme contro la corruzione nei palazzi del potere, vengono subissati da arresti e restrizioni. E invece no. Putin, infatti, è stato chiamato come teste nientepopodimenoche in Italia. La ragione? Potrebbe rivelare verità scottanti nel processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. No, non è un errore di battitura o un volo pindarico di qualche originale autore fantasy (anche se il paragone non sarebbe poi così ardito…). È più semplicemente (si fa per dire) l’originale richiesta della difesa del generale Mario Mori, tra i dieci imputati del processo attualmente in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. L’avvocato Basilio Milio ha infatti chiesto alla corte d’assise la citazione di Putin tra i testimoni del procedimento.

Di follia in follia – L’istanza – che appare come un’evidente provocazione – è subordinata all’ammissione, ancora non disposta, dalla Corte d’assise di Palermo delle intercettazioni in cui il boss Giuseppe Graviano parla in carcere degli attentati in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per quanto sia provocatoria, cerchiamo di entrare nella testa dei legali di Mori e capire la (ir)ratio di tale richiesta. Intercettato per mesi durante l’ora d’aria, Graviano parla col camorrista Umberto Adinolfi e fa più volte riferimento – tra le altre cose – alle stragi del 1992. Se quelle intercettazioni dovessero entrare al dibattimento, quindi, per i legali sarebbe necessario sentire anche Putin. Il motivo? Una vecchia indagine di Falcone e del procuratore russo Valentin Stefankov su fondi neri intascati dal Pds e provenienti dal Pcus. Non solo: i legali hanno chiesto anche l’esame del procuratore aggiunto Ilda Bocassini che, nel ’92, indagò sulla strage di via D’Amelio adombrando pesanti dubbi sull’attendibilità del pentito Vincenzo Scarantino. Quale sia poi il legame tra i presunti fondi neri al Pds e le stragi di mafia resta un mistero per tanti (o forse per tutti?). Ma tant’è. Resta un punto, forse l’unico serio di tutta la vicenda. La richiesta dei legali di Mori, bislacca, fa seguito a un processo che, per quanto fondante e capitale per la storia d’Italia, sta assumendo tinte sempre più grottesche. A cominciare dalle stesse intercettazioni di Graviano che la Procura vuole ammettere a processo, nonostante sia assodato che Graviano parla sapendo di essere intercettato e dunque non possono essere recepite come oggettive. Che ci sia stata una trattativa è, ormai, storia. Ma la storia diventa barzelletta quando si supera ogni immaginazione consentita.